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Federico Borromeo. Manifestazioni demoniache
La figura del cardinale Federico
Borromeo, entrata nell’immaginario collettivo degli italiani come personaggio
manzoniano, è stata sempre concretamente viva, nella cultura milanese, grazie
alla Biblioteca Ambrosiana da lui creata. E spesso, nei suoi scritti, Federico
fa riferimento a codici e a volumi “che si trovano – così si esprime – nella
nostra Biblioteca”: lo fa anche in questo agile scritto, Parallela
cosmographica de sede et apparitionibus daemonum. Liber unus, edito nel 1624
ed ora in prima traduzione italiana compiuta sul testo, catalogato “Borromeo
76”, della medesima Biblioteca.
La memoria di Federico Borromeo ha
conosciuto un ulteriore impulso negli anni intorno al 1985, in occasione del
secondo centenario della nascita del Manzoni. Molti furono gli scritti sul
Cardinale, sia come personaggio d’arte, sia come personalità storica, ma ebbe il
merito di avvicinarlo al gran pubblico lo studioso Armando Torno con la nuova
traduzione del De Pestilentia di Federico, edita da Rusconi nel 1987 con
il titolo La peste di Milano. L’opera registrò un vasto consenso di
pubblico (due edizioni in due mesi), anche perché il tema è strettamente
connesso con l’immagine federiciana del romanzo manzoniano. Da quel libro,
grazie al bel saggio introduttivo del curatore Armando Torno, i lettori
appresero anche quanto fosse fecondo il cardinale, in fatto di scritti. Federico
Borromeo, amante degli studi fin da giovane, amò sempre dedicarsi alla lettura e
alla scrittura: lo confidava egli stesso, nelle sue lettere e le sue numerose
opere edite lo dimostrano. Ma ebbe poca fortuna, quanto alla divulgazione e
traduzione dei suoi lavori, come ricorda del resto anche il Manzoni. Eppure, la
sua penna, alacre ed insonne, ebbe modo di spaziare in tutti i campi, sia dello
scibile, sia dei temi più scottanti nella sua epoca. Non è esagerato affermare
che l’“Opera omnia” di Federico Borromeo rappresenta la “mappa” di un
largo filone di pensiero del suo tempo. Molte sue opinioni apparivano già al
Manzoni “piuttosto strane” o persino “malfondate”; né sembra che lo stesso
Manzoni si accontentasse di “quella scusa così corrente e ricevuta, ch’erano
errori del suo tempo, piuttosto che suoi”. Nella post-fazione al presente
libro, Gabriella Cananeo, esperta di scienze religiose, ma anche di cultura
classica ed umanistica, da una parte si rapporta alle idee dell’epoca
federiciana, e dall’altra non cela le “incongruenze” del pensiero e dei
ragionamenti del Cardinale, soprattutto in riferimento ai dati della cultura
classica riguardo al demoniaco. Si può inoltre aggiungere che Federico ebbe a
scrivere fin troppo, spesso ripetendosi. Ciò non toglie che diverse sue opere
siano importanti: sia come documento storico-culturale, sia come testimonianza
della ricerca della verità. Quest’ultimo aspetto è messo in risalto nell’Introduzione,
erudita ed ampia, di mons. Franco Buzzi, dottore della Biblioteca Ambrosiana:
Oltre l’angoscia di Satana. Il titolo stesso però focalizza l’immagine
soprattutto del Borromeo “cristiano”: l’affidamento dell’uomo a Dio è un sicuro
baluardo contro non solo i pericoli, ma anche contro la paura nei confronti del
demoniaco. In un impianto più fenomenologico, il punto di vista è condiviso da
Sergio Cosmacini, storico della medicina, nell’interpretazione esposta nel suo
Elzeviro, “Quando il diavolo era nemico della scienza” (“Corriere della
Sera”, 2 agosto 2001), in cui egli prende in esame il libro. Lo studioso termina
l’intervento con questa frase scultorea: “Contro le deliranti credenze in voga,
il cardinale Federico si assume, per certi aspetti, la luciferina parte del
diavolo”.
Si deve dunque plaudire
all’operazione editoriale che porta alla luce il breve scritto del Cardinale sul
tema demoniaco (94 pagine, quelle dell’edito borromaico). Un tema molto sentito,
all’epoca; ma ancor oggi diffuso. E anche oggi tra un mare di convincimenti
diversi, di credenze magmatiche, di idee le più disparate. A leggere un
consistente filone dell’odierna letteratura, sembra sembra che ci sia voglia del
diavolo! Ma in questo scritto federiciano non si tratta del diavolo tentatore,
del diavolo “con le corna”, cioè a immagine umana, come è nell’iconografìa più
comune. Programmaticamente, qui è preso in considerazione l’apparire del demonio
come “trasformazione”, o metamorfosi, dai quattro elementi: terra (suolo e
sottosuolo), fuoco (vulcani compresi), acqua, aria. Non stupisce perciò, come
osserva Alessandro Zaccuri nella sua recensione (“L’Avvenire”, 29 agosto 2002),
che il libro sia corredato di disegni di Stefano Martino, che lavora per i
fumetti dell’Editrice Bonelli: disegni di grande efficacia, anche per la giusta
aderenza alle rappresentazioni demoniache esposte nel testo. Qui Federico
soprattutto racconta: e nella sua scrittura il narrare è certamente il registro
che lo rende più vivo, efficace. Sono credenze o fenomeni riferiti da terre
lontane e vicine, in tempi recenti e in tempi passati: si gode anche di una
considerevole fetta di letteratura delle superstizioni e degli esploratori nelle
due Indie, nella Cina di Marco Polo, nell’Africa. La lettura è piacevole: la
traduzione è estremamente rigorosa, filologica, corredata in nota delle varianti
al testo edito, vergate di proprio pugno dal Cardinale. Ma è anche una prosa da
“scrittore”, in cui il traduttore ha già dato, ormai, diverse prove in altri
suoi lavori.
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Recensione |
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