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Giuseppina Caradonna, note critiche

Aa.Vv., Dizionario Autori Italiani Contemporanei
Quinta Edizione Ampliata, Guido Miano Editore, 2017, pp.367.

Caradonna Giuseppina (Priverno, Latina) poetessa. Ha pubblicato il libro di poesie Eloïse e le sue sorelle (2012) e la silloge Perdersi nel silenzio (2014) in Alcyone 2000, n° 6, pp. 91-92.

Una scrittura che indaga senza timori e senza pietà il nucleo più duro dell’esistenza nelle sue dissonanze sinusoidali di serenità e dolore, di rivelazioni aurorali e di inevitabile prossimità al nulla, ora configurato come “miseria / di polvere”, come “vita o la / sua parvenza” (liriche inedite Non più e Regalo), oppure come “Sahara immenso di vuoto” (Indifferenza, da Eloïse e le sue sorelle, pag. 27). Stesso scarto dicotomico si riproduce, con garbo e destrezza, nell’incedere altalenante tra un registro immediato e semplice, di prorompente valenza comunicativa (“una borsa che cade e sparpaglia le sue robe / ed ecco occhi che scrutano / acquosi di sonno e non sanno che fare, / mani impacciate escono dalle tasche dei cappotti”, I fili, da Eloïse cit., pag. 27) e una serie di folgoranti impennate verbali nelle quali la parola poetica si fa strumento conoscitivo estremo del senso ultimo delle cose e delle vicende umane, senza sconti né belletti formali (“e il mare / mostro sconosciuto / chiude in sé le porte del cielo”, Il pedalò, ibid., pag. 19). Altrove è la natura, ancora una volta personalizzata, a giudicare, testimone impassibile, l’operato degli uomini: “Le montagne immobili, / dritte a guardare / la nostra banalità”, Banalità, da Perdersi nel silenzio, cit., pag. 27).

La seconda persona verbale in cui sovente si dipana la versificazione e che spesso assume valore di un interlocutore universale, pare anche rievocare qua e là, alla luce dello splendido, enigmatico titolo dell’opera prima Eloïse e le sue sorelle, il destinatario di una missiva poetica immaginaria, forse ispirata, quanto meno come emblematico luogo letterario, al celebre carteggio dei due amanti Abelardo ed Eloisa: “sei le mille parole / che non dico e non / dirò mai” (Tu sei, da Perdersi…cit., pag. 28), “come spiegarti la pietà degli sguardi / il nudo guardare i muri, / rifugio al vuoto che incalza? / Forse non sai come il tuo silenzio / sia balsamo per me” (Silenzio, ibidem, pag. 27). O, ancora, la bella preghiera d’amore Per te, ancora inedita: “Così mi lasci… / e te ne vai /, nel / silenzio della notte / come fiume potente / che non può tornare indietro”. Ma non è solo l’amore a sostanziare le riflessioni poetiche dell’autrice, quanto piuttosto, come già detto, un più ampio ventaglio di considerazioni sul senso segreto dell’esistenza che non disdegna neppure una lucida, disincantata quanto struggente visione della vecchiaia. Non a caso Enzo Concardi nella disamina introduttiva alle liriche antologizzate in Alcyone 2000, Perdersi nel silenzio, ravvisa nel componimento I vecchi (pag. 28) uno dei momenti più alti della Caradonna e che anche qui vale la pena riproporre per intero: “I vecchi camminano / e danno voce all’aria / luminosa dei giorni / tranquilli che sono / la loro vita, / fatta di niente, / fatta di tutto. /I vecchi parlano / e si raccontano, / lentamente, /leggeri come / soffioni di fiori/ che si posano / e poi volano via”.

“La condizione della senilità – afferma il commentatore – viene dipinta con una tale ‘leggerezza dell’essere’ che assume connotati positivi, lontano da ogni presagio della fine, perché semplicemente la fine non esiste: c’è invece la serenità di un dolce passaggio ad altre dimensioni”. E non possiamo non fare nostre queste parole. La poetessa, seppure ai suoi esordi, procede con lucida consapevolezza nella ricerca del linguaggio e di quelle coordinate indicative della valenza metaforica della sua poesia. “Il castello era antico / rossa la nuova livrea /…/ Il castello ululava / la sua rabbia … / … e tacque alla fine …/ Così si persero i miei sogni.” (Il castello, da Perdersi… cit., pag. 29). “Papà dei libri / dei quadri e delle filastrocche /…/ Papà demiurgo di un mondo incantato “(Infanzia, da Perdersi…cit., pag. 27). E in questo affresco della vita assaporata nella sua mitica fase primigenia, emerge, con tratti di cantilena magata, la fondamentale esperienza di volontariato umanitario vissuta in Africa: “Potenza di vita africana / nell’acqua che scende / dilaniando la terra / con nere rughe di felicità. / Non puoi che guardare / e scoprire la tua debolezza / di uomo creato da Dio / scherzo umoristico / …/ di un creatore burlone / e un po’ stregone” (Africa nera, da Eloïse cit., pag. 22). Colmare lo iato tra tempo storico e tempo mitico, questo forse è il compito del poeta, nel quale l’autrice si riconosce investita del “valore della poesia come un rito” (Flavia Weisghizzi nella Prefazione a Eloïse cit., pag. 7). Di qui l’incantevole ritmo della lirica Menestrello che significativamente apre, snodandosi su un intrigante gioco di enjambement, la pregevole raccolta d’esordio di Giuseppina Caradonna: “Forse ero un menestrello / nei tempi che già / si dice antichi / e lento me ne / andavo, lento / come un mago a /scoprir li propri / riti”.

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