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Lontananze
Una storia di vita, quasi una narrazione lirica quella che Augusta Romoli
ci consegna dalle Lontananze di un cammino che si dipana dal territorio
luminoso dell’infanzia e dai ricordi di una giovinezza marchiati dall’alluvione
dell’Arno del ’66, fino alla lunga esperienza professionale come assistente alla
regia radiofonica. Un ensemble di stralci di vita mai soffocati dal privato
poiché sempre sottoposti alla riflessione vigile sulla natura umana, sia quando
l’anima s’intorbida / della “rimossa Storia” (Tempesta), vibrando di impegno
civile, sia quando si fa partecipe della fragilità dell’uomo appena
cellula/nell’organismo Terra (Stendi un bianco velo) per poi abbandonarsi al
richiamo dell’ultraterreno e del Presente Eterno (Padre Nostro) nella
consapevolezza che l’autobiografia comunque non è concessa/allo scrittore
rigoroso e attento che persegua la verità oltre i limiti angusti del proprio
vissuto (Per “Trilogia della scrittura” di Rodolfo Tommasi).
Questo è infatti il filo rosso che lega le liriche della raccolta
accomunandole e plasmandole nella diversità di ispirazione e cadenza stilistica:
la tenace ricerca di autenticità dell’uomo a dispetto di condizionamenti e
maschere che moltiplicano il nostro “io”, troppo spesso gravato dal fardello
dell’orgoglio,/velo che offusca la vista,/passo che fatica (L’orgoglio). Una
ricerca che spesso si tinge di meditazione filosofica e di corrucciata
riflessione sullo scorrere della vita/che cambia l’essere tra apparenze/addii,
inganni (La casa vuota), increspandosi sovente sul piano formale in rime
interne, allitterazioni, assonanze, paronomasie, a riprova di una godibilità
anche acustica del messaggio poetico, non esente dal timore che suoni e parole
della nostra lingua possano diventare foglie morte/di un albero sfrondato/dal
progresso (La lingua dei suoni). E riteniamo al riguardo che non estranei alla
resa formale dell’autrice siano stati gli studi di pianoforte e l’attività
radiofonica, quest’ultima felicemente evocata nella sua “magia” nel componimento
Auditorio C.
Una poesia, quella di Augusta Romoli, certamente ben lontana dai manierati
e troppo ben congegnati languori di tante penne femminili attente più a tenui
emozioni che alla pregnanza del messaggio poetico, spesso asservito alla
tirannide della forma, sia essa in verso libero o nel sistema chiuso della rima.
Una poesia, quella della nostra autrice, che nell’alternanza di toni,
intenzioni, tematiche, delinea un coerente, inesausto impegno umano: È la vita
la tua/di un solo tempo. Come non condividere l’accorato ammonimento di questo
splendido distico?
Altre prove aspettiamo dall’Augusti nella sua pervicace ricerca del senso
d’una/misura d’armonia (Vuoto) sia che si faccia compenetrazione sensoriale con
la natura (“proiezione dell’io nella vita/d’una foglia, ero io…/ma era la
foglia”, in Autunno), sia che maturi la consapevolezza che l’istante
d’incanto/può avvolgere una vita/seppure in altro spazio (Non so più quando).
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Recensione |
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