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Due voci dalla Sicilia
Si ripresentano all’attenzione
dei lettori, in questi primi mesi dell’‘89, due tra i più importanti poeti
siciliani di oggi: Giovanni Occhipinti e Lucio Zinna.
[…]
Bonsai di Lucio Zinna costituisce con Sàgana del ‘76
e con Abbandonare Troia dell’‘86 una trilogia tesa a reagire – come si
legge nel risvolto di copertina – alla «spersonalizzante civiltà attuale,
mentre si carica ancor più di sofferenza il rapporto (interattivo) tra
pubblico e privato». Sotto il costante segnale dell’ironia, da cui muove
un’onda lunga di distacco e di dominio, la pagina dell’artista mostra subito il
connotato di un’intensa liricità, il rifiuto del discorso allentante e smorto,
la estraneità a ogni tramite che serva semplicemente a unire (non ad esaltare)
le immagini.
Giocato essenzialmente su
un lucido specchio di metafore che agganciano il profondo urto della vita, il
dettato di Zinna poco concede alle apparizioni e ai movimenti dello spettacolo,
del teatro: tutto è ricercato all’interno di una coscienza che filtra le cose
sofferte, gli eventi macerati, gli appuntamenti essenziali dei giorni, l’armonia
con quel poco
a che resiste nel fatale
passare: «Ho disimparato a misurare il prossimo a centimetri. | Non tutti che mi
stanno accanto mi sono prossimi. | Prossimità è corrispondenza interiore
sintonia | Può essere distanza – lontananza mai».
Una originale misura
stilistica – fondata in prevalenza sulla parola – sintesi, sulla frase
ellittica e densissima – riesce a penetrare nel fondo di un rapporto con le
occasioni rapido e talmente carico di notizie decisive da consegnarsi a un verso
che, anche nei momenti più discorsivi, offre elementi lancinanti, improvvise
rivelazioni, tratti che non hanno bisogno del commento. La poesia narrativa di
queste ultime stagioni – quella ad esempio che trova lunghe modulazioni nelle
opere di Bertolucci – assume in Zinna personalissime cifre espressive proprio
per la straordinaria capacità dell’autore di dire senza diluire, di informare
senza troppo concedere agli eventi, alle variopinte provocazioni delle tracce
prolungate ed estenuate.
Bonsai è libro
secco pur nell’ariosa impaginazione, nella struttura vasta e irta di progressive
movenze, nel dettagliato intreccio dei motivi: percorre «secoli di pena»,
consapevole che «altro è parlare di vita ed altro è vivere». Anche Zinna, come
Occhipinti, cerca la storia, ne avverte gli insegnamenti e gli inganni. Egli
vigila sugli avvenimenti e sui libri, sugli accadimenti e sulle parole che li
hanno tramandati. Mobile e intensa nei velocissimi passaggi è la Ballata
atipica del poeta paladino, ove Rolando fa «tinnire i giorni di ricorrenti |
entusiasmi di vitalistici impulsi: mette al mondo figli e libri e intrattiene
una lunga \ schermaglia con la morte che attende «con la calcolata
pazienza | degli schizofrenici.
Dall’autobiografica
confessione di disagio («II mio spesso mi sgraffia si fa disamare | mi affonda i
dentini – nosferatu – io mi ferisco | ricambio rammento mi scordo riprovo giro
al largo. | Chiedo una foglia e m’è negata o concessa quasi | fosse – che so –
d’oro di platino») al finale ritratto di Teresa di Lisieux («Per un volto così
si può tornare | a ri-sentirsi fra uomini e salire») il testo scorre fra
«sofferte esperienze» e «gioiose realizzazioni», ritesse il filo delle trame più
vicine alla sensibilità dell’autore, insegue anche il più perduto particolare
degli oggetti (lo specchio ovale dell’armadio, la «singer di larga pedovella»,
gli asfalti e le luci di Palermo, il «lontano biancore di gelsomini») e sempre
si arresta a contemplare il miracolo che è dato dal riemergere di un gesto, di
una voce, di un luogo. | |
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Recensione |
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