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Nota introduttiva a
In fondo, questa è la vita
di Michele Manfredi-Gigliotti

dati del libro

Giuseppe Amoroso

Sospeso tra confessione autobiografica e riflessione esistenziale a largo raggio, con distese aperture a varie tematiche proprie della società contemporanea, In fondo, questa è la vita di Michele Manfredi-Gigliotti è un'opera di complessa prospezione: operetta morale, zibaldone di sollecitante attualità e di mobile struttura, pamphlet arso di immalinconito risentimento, incursione letteraria e filosofica, antologia di apologhi, memoria di percorsi giudiziari, e altro ancora di sorprendente, suggerito, enigmatico. E in più, l'intrigo di un racconto intriso della razionalità del saggio. Come scaturite, in un ventaglio di estri, di un ripensato Satyricon (e anche, sia pur alla lontana, da mai dimenticate suggestioni del mondo classico: pensiamo alle Notti Attiche o all'Asino d 'oro, non a caso modelli di tanta nostra agguerrita narrativa moderna) si susseguono annotazioni di vario genere, spunti appena accesi, risvolti parodici, impuntature polemiche, momenti di stacco in cui germinano pagine di ricordi familiari, tra velate pieghe liriche e vicende collettive. Contemporaneamente, prende avvio quella grande passione per la lingua italiana che ha modo di esprimersi in tante tessere del memoriale, ora serrata nell'ambito di un micromessaggio, ora depositata in schegge di rimpianto per la sua perduta purezza o addirittura per la stridente mescolanza (operata da un frivolo, gratuito diffusissimo costume) con il pavoneggiato uso di anglicismi.

Un filo narrativo percorre le pagine imprimendo anche al discorso più tecnico, ai profondi spaccati storici, a «riflessioni sparse, un po' di qua, un po' di là», una ben rintracciabile apertura scenica, la possibilità improvvisa di sfondi nei quali figure e ambienti scivolano come fotogrammi di un film in bianco e nero. Michele Manfredi-Gigliotti si racconta, sfoglia le sue tante letture, i felici esiti e le fatiche della sua professione forense, affila i ferri del mestiere, rimette in circolo un atlante di storie perdute e di altre come per un prestigio ritrovate. Dal canto suo, il clamore degli eventi sfuma in un'atmosfera trapunta di pensieri, di massime, mentre la voce dell'io è catturata a ondate dalla forza magnetica, talora quasi mitica, dei fatti. Ad esempio il discorso relativo alle persecuzioni cui sono stati sottoposti i Templari, pur condotto dall'autore con inoppugnabile argomentazione giuridica, riesce a mantenere inalterata quell'aria epica e leggendaria che da sempre circonda la storia dell'Ordine. Costumi ormai obsoleti e nuove mode assumono una suggestiva trasmissione di fabula quando, inseriti nei ritmi degli inevitabili urti, sono sottoposti ad un

vertiginoso angolo di ripresa che riesce ad integrare la materia saggistica con la leggerezza di una scrittura lineata di vari livelli linguistici e culturali, formule settoriali e fantasmi dell'ingegno. Inoltre il rapido passaggio da un argomento all'altro (dalle meditazioni su «anima e corpo» alla rappresentazione di un povero ragazzo indifeso, in balia del crudele gioco di un gruppo di giovani; dalle «donchisciottesche» sagome paesane alla dissertazione sul «gran rifiuto» di Celestino V; dalle acrobazie delle «Frecce Tricolori» all'abbagliata ammirazione per i voli dei rondoni) dimostra la notevole abilità, nell'autore, di affrontare i più disparati argomenti rinvenendo per ogni arcata progettuale la forma architettonica più adeguata a conferire all'edificio una circolare e armonica unità. Nulla sembra oltrepassare il proprio ambito, neppure quando il dettato affronta ardue problematiche tecniche poiché i nodi si sciolgono nel convincente scivolo del senso, nella chiarezza calda di scoperte, animata per trovare il bandolo sul romanzesco schermo della vita, o nel groviglio d'ombre del mistero.

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