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I lupi e il rumore del tempo
C `è una
poesia di Osip Mandel'štam su Stalin che Iosíf Brodskij definì "geniale",
contenendo addirittura "i versi più sconvolgenti mai scritti da lui". Non si
tratta della celebre e ormai mitica invettiva contro il dittatore sovietico ("il
montanaro del Cremlino"), ma della lunga "Ode a Stalin" composta nel 1937, poco
prima del secondo arresto e della morte in un gulag siberiano. Di questa poesia,
nell`antologia I lupi e il rumore del tempo, non c`è traccia, ma ne
parla
diffusamente il curatore Paolo Ruffilli nell`affascinante introduzione. Tardiva
ritrattazione dei versi compromettenti scritti quattro anni prima, questo
"barbaro esperimento" (così Nadežda, la moglie e biografa del poeta ebreo
russo-polacco) esprime quasi senza uguali il terrore del Novecento e la forza
icastica della poesia.
Mandel`štam,
fine letterato di ottima cultura, disprezzava lo "scrivere" (parola usata tra
l`altro in modo sprezzante per definire le relazioni degli informatori del
regime), ed era solito comporre a memoria, muovendo da un verso o da un semplice
suono. Ma questa volta si doveva partire da un`idea amara, da tramutare in un
panegirico eroico del temuto rivoluzionario di nome Iosif Stalin. Ma
l`ispirazione non veniva, e la moglie ricorda il poeta seduto a un tavolino con
carta e matita, cosa mai fatta prima, a violentare se stesso e il proprio usuale
processo creativo. Un lungo lavoro estenuante e tragicamente vano. L`"Ode" alla
fine vide la luce ma non salvò la vita a Mandel`štam. "Una malattia", come la
definì tempo dopo la poetessa e amica Anna Achmatova, che condusse il poeta
amante di Dante e di Ovidio verso un nuovo e definitivo esilio ("Ho imparato
l`arte dell`addio / dal gemere notturno a testa nuda") e alla sepoltura in una
fossa comune. Quattro anni prima, Davide aveva affrontato Golia con otto distici
di pietra nella fionda – ha scritto in proposito Seamus Heaney – e il Golia dai
"baffi neri da scarafaggio" non aveva dimenticato.
L`"Ode a Stalin" rimane come
beffardo monumento all`utopia della libertà incondizionata e della rigida legge
morale che comportano la vera poesia e come monito sanguinante al versificare
incerto che ci circonda. Un sacrilegio che forse servì a salvare la vita della
moglie, visto che, come ricorda Ruffilli, spesso le vedove venivano graziate
dopo il tardivo pentimento del marito. La stessa Nadežda, che nel corso degli
anni, dai primi violenti attacchi alle censure, dai complotti alle accuse di
plagio (una delle sventure che Mandel'štam condivise con un altro grandissimo
"cadavere" della poesia del Novecento, l`ebreo Paul Celan), aveva cominciato a
imparare a sua volta a memoria i versi sonanti, dolcissimi o brutali, del
marito, e decise di non rispettare la sua richiesta di distruggere quell`ode.
Molti anni dopo, ripubblicandola, spiegò invece: "Molti mi consigliano di
nasconderla, quasi non fosse mai esistito niente di simile. Ma io non lo faccio,
perché la verità sarebbe incompleta: una duplice vita è un fatto assoluto della
nostra epoca e nessuno poté evitarlo. Solo che gli altri componevano queste odi
a casa propria e in dača e ricevevano per questo ricompense. Solo Osip lo fece
con la corda alla gola... L`Achmatova quando tesero il cappio al collo del
figlio. Chi può giudicarli per questi versi!". Così, nel maggio 1935, durante
il confino negli Urali, Mandel`štam scrisse:
"Privandomi voi dei
mari, del moto e dello slancio / e dando ai piedi l`appoggio di una terra
imposta con la forza, / che cosa avete mai scoperto? Il mio calcolo astuto: /
che non potete impedirmi di muovere le labbra nel silenzio".
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Recensione |
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