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Scirocco

Qui il sole si fa sempre più forte, e quel ch’è peggio, ci si aggiunge una calura umida e asfissiante, e lo scirocco, un vento lento, quasi fermo, e in compenso pesantissimo. A volte il pomeriggio viene dal mare una brezza che sposta di qualche metro l’afa nell’entroterra. Poi però ritorna, più forte di prima. Già di sera a volte, e comunque la ritrovo precisa puntuale la mattina al risveglio. Gli autoctoni lo sanno e si tengono al coperto. A partire dalle 11 non si vede più nessuno di loro in giro. Noi, che invece siamo finiti qui in villeggiatura, ci carichiamo di borse, asciugamani, libri, cibi e bevande, e andiamo al mare. Perché questo è il tipo di vacanza che piace a Marco, mio marito. Al mare, dopo essermi liberata delle borse, crollo sulla sabbia, e Marco mi guarda colpevole, poi pianta l’ombrellone e va a farsi il suo lungomare. Dopo leggerà i giornali. Io cerco di dormire, di dimenticare che sono qui. Sento l’afa ormai ovunque, sotto la pelle, tra i capelli, nel naso … mi gonfia i piedi, le gambe fin dalle caviglie, e le dita delle mani, peggio per me, se non sfilo in tempo gli anelli. Ogni vestito si appiccica alla pelle (indosso per pura autodifesa dai raggi assassini una tunica scura da tuareg larga e lunga che mi nasconde tutta). A Marco invece niente. Se ne sta in costume, come un bambino, legge il giornale, cammina, corre, compra un sacco di roba da mangiare e lo cucina, invita gente praticamente ogni sera, discute con la moglie di Giovanni, una stupida, e ride di gusto quando parla Giovanni, insomma sembra che il caldo lo metta in moto. Io, facendo molto meno, sono distrutta e devo spesso distendermi. Poi mi sembra tutto inutile, non c’è scampo dall’afa … e ora anche dai rumori… Perché di fronte al nostro appartamento stanno costruendo il futuro Pronto Soccorso del paese, una casa bianca bassa con persiane verdi. Non disturba l’occhio; è il trivello ad essere indecente, mentre la mescolatrice di cemento in funzione dalle 7 del mattino è tormentosa e insaziabile. Vedo dal balcone i muratori in maniche di camicia che vanno avanti e indietro, un tipo con gli occhiali sempre sudato che sarà il geometra e il capomastro che spadroneggia in giro. Ora ci si mette anche il trapano … Basta! Chiedo a Marco di far smettere quel baccano, di fare qualcosa. E senza lagne, con tono chiaro, anzi duro, perché ci vuole. Cazzo, sono le nostre vacanze, o no? L’affitto carissimo e, va bene, lo paga lui. Ma io devo sopportare tutto il resto, prima l’afa, poi Giovanni, la moglie, tutta l’altra gente che si piazza da noi sul balcone fino a tarda notte, e le moto che sgassano sotto casa ad ogni ora del giorno e della notte, e i gabbiani che gridano alle cinque di mattina, e i cani rinchiusi che guaiscono e ... Marco ha capito (capisce quasi sempre) ed è uscito di filato. Lo vedo prendere di petto il capomastro. Nel frattempo sta salendo il caffè. Rientro a spengere il fuoco. Povero Marco, penso, ora, per colpa loro, anche il caffè freddo gli toccherà prendere. Ritorno sul balcone con la tazzina di caffè e vedo loro due che parlano, le voci non si sentono. La mescolatrice copre tutto. Vedo Marco solo di spalle. Il capomastro sorride. Acconsente? Mah? E ora che gli prende? Ha dato a Marco una pacca sulla spalla. Marco se ne resta lì, non fa neanche un passo indietro! Invece si volta verso il nostro balcone, e mi segna col dito al capomastro. Carino, ride anche lui. Di me. Ok, colpa mia, me lo son sposata. Marco, a sostenermi, stare dalla mia parte, non ci pensa neppure per sbaglio. Preferisce fare amicizia. Marco ha bisogno di entrare in confidenza con tutti, si lascia anche prendere in giro, offendere, trattare da pagliaccio, pur di essere accolto nel grande girotondo … un pagliaccio. Mio marito.

Ecco che riparte il trapano, non vedo dove. Il capomastro stringe la mano a Marco e mi fa un cenno con la mano. Vorrà mica che gli porti il caffé? Ora mi vede. Arrivo. Butto giù l’ultimo sorso. Infilo il cappello, gli occhiali, la borsa da mare è pronta, prendo le chiavi della macchina ed esco di casa.

In strada incontro Marco, che mi vuol spiegare tutto. – Il capomastro, – dice, – è un’ottima persona! – Gli dico da sotto gli occhialoni da sole di raggiungermi al mare, se vuole. Tanto a lui piace andare a piedi, no?

Ci rimane un po’ male. Non posso farci niente, io, non ho proprio voglia di subire un’altra mezzora di trivellatrice o trapano che sia. Attraverso la strada. Facendo manovra per uscire dal parcheggio mi trovo il capomastro fermo dietro la macchina. Suono e di gusto. Si sposta, ma senza fretta, come per caso, tanto è lui il re del quartiere. Che rabbia. Stia attento però che per sbaglio non lo metta sotto. Che tipo, però. Energico, vestito stirato, gli occhi puntuti, e insomma bell’uomo, che se la gode di certo, ora sorride soddisfatto di sè, e subito dopo grida a un vecchio muratore. Con il turista fa lo spiritoso, e alle donne fischierà, comanderà. Che schifo. Ma sono certa che davanti al padrone striscia. Sgasso passandogli accanto, ma devo frenare di botto, perché mi si para davanti Marco, che vuole entrare. Ora anche dalla macchina lo saluta, bussandogli dal finestrino. Io tiro dritto. Marco mi dice, baciandomi sulla guancia: – Vera, vacci piano, non come l’ultima volta…

– Lascia perdere, che non sono in vena.

– Va bene, ma vai piano!

Poi finalmente il deserto. Di mattina così presto al mare non c’è un cane. Meglio così. Posso leggere in pace il mio romanzo. A mezzogiorno in punto arrivano Giovanni e la moglie, si piazzano accanto a noi e mi tocca sentire le descrizioni particolareggiate di lei di un ennesimo intervento o esame medico al quale si sono dovuti sottoporre per fare finalmente un figlio. Giovanni, che non ne può più, accompagna Marco a prendere il giornale … e a guardare altre donne, si sa. A Giovanni anch’io non dispaccio, come dicono certi suoi sguardi bassi, quando Marco fa il bagno e la moglie non vede. Dubito che, se pure il figlio verrà, lui smetterà di farle le corna. Ma forse è proprio per questo che lei smania tanto. Vuole avere qualcosa di suo, di veramente suo. Dopo il bagno Marco mi riassume il colloquio con il capomastro. Le solite cose. Sono fermi da marzo, perché qualcuno in Comune ha fatto storie. Alla fine hanno cominciato a lavorare in giugno e hanno fretta, non per il caldo, ma perchè hanno anche un altro cantiere.

– Se non gli fa niente il caldo, – dico io, – perchè non cominciano più tardi, e almeno ci lasciano dormire in pace?

Marco sorride: – Proprio questo ho chiesto, mia dolce Vera, con altre parole ovviamente.

– Ma perché con altre parole ovviamente? Uno può anche essere diretto, combattivo, energico, no? Insomma, tu ti perdi sempre per strada.

– Ma no, non vedo perché devo essere maleducato, scusa.

– Ecco per te energico vuol dire maleducato. Andiamo bene…!

– Conosco la differenza, ma con Fabrizio non mi sembrava proprio il caso.

– Fabrizio… ! Immagino avrete anche fatto il patto di sangue. E poi hai mostrato al nuovo amichetto la moglie in mutande sul balcone.

– Macchè. – Marco fa il serio, il preciso, – Guarda che sono brave persone e fanno del loro meglio per …

– Ma sì, ma certo, dai lasciamo perdere.

– Tra l’altro gli danno il salario solo a lavoro finito…

Poi la solita lagna, il capomastro, cioè Fabrizio, ha famiglia, due figli piccoli e un terzo in arrivo. E con il lavoro sta praticamente fermo dall’estate scorsa. Vivono dalla suocera perché non possono pagare l’affitto etc. etc. Lavora contemporaneamente in due cantieri, forse anche tre. Per ultimo viene fuori piano, che quasi non lo sento (quando Marco abbassa la voce vuol dire che è forte), che Marco ha invitato Fabrizio e la moglie a cena, stasera.

– Bene! – E me ne vado.

Sono tornata a casa. Le tre del pomeriggio, ovviamente non c’è un’anima in giro. Strade e case abbacinate dalla calura. I muratori non lavorano con il caldo, altro che. Entro in casa, calda nonostante le persiane socchiuse, bevo un po’ d’acqua minerale gelata, metto l’aria condizionata, finisco le zucchine e un pomodoro al forno di ieri, mi distendo sul divano, chiudo gli occhi, penso a quella faccia di bronzo di capomastro, perché io non lo chiamerò mai Fabrizio, di questo Marco può esser certo, altro che, piuttosto il veleno … e adesso certo quel bellimbusto se ne starà al bar con gli amici a bere, giocare o a guardare le gambe delle ragazze … mentre magari la moglie fa la sguattera in casa altrui, e poi questa sera tutto ripulito con lei al seguito a mangiare da noi… no questa Marco non me la doveva fare.

No, non ci posso credere, è un incubo vero, non sto sognando. Il trapano.

È ripartito. È ripartito il trapano. Fortissimo, mi trapassa il cervello. Non ci vedo più. In un attimo sono fuori di casa. Dietro la costruzione trovo proprio lui, il capomastro, da solo, con il trapano in mano. Gli faccio rabbiosamente cenno di smettere. Lui continua come se niente fosse. Comincio ad urlare. Non sente. Fa finta di non sentire. Allora gli dò una spinta, insomma una piccola botta sulla spalla. Certo non una carezza. Ritira il trapano, neanche lo spenge, e mi chiede cosa voglio.

– Lo spenga!

Lo spenge.

– Ma non si rende conto che ora è?

– Scusi.

– Ha capito che disturba?!

– Mi dispiace, scusi.

– Ora basta, basta davvero! La sa l’ora?

– Sì, so l’ora. Sono tutti al mare, i turisti. E gli altri ...

– E io cosa sono, secondo lei, una di voi?

S’è azzittito, ma per poco.

– Signora, vede, ho promesso a suo … marito di finire i lavori oggi.

E mi guarda con uno sguardo strano, che scende.

– Non si permetta di guardarmi così.

– Scusi?

– Fa schifo!

Si rivolta verso il muro e riparte con il trapano. Io no, non ci vedo più. Lo colpisco ovunque, alle braccia, le spalle, il torace, il collo, dove capita, sì anche alla testa. Non mi riesco a fermare.

Mi ferma lui, stringendomi i polsi con una mano sola.

– La smetta, signora. – Dice piano. Mi guarda negli occhi. Ha occhi intensi color marrone chiaro, le pupille cerchiate di scuro, non si perdono facilmente. Mi guarda preciso, quasi curioso, lo sguardo non scende, si è fermato proprio su di me. E il mio sguardo si è fermato nel suo. È uno sguardo buono, è uno sguardo intelligente, e … caldo, sì. Cosa mi prende?

Vado via, non vedo e non sento più niente. Dietro di me il mondo sembra lontano mille miglia. Sulle scale di casa mi viene nero davanti agli occhi. Le gambe mi tremano. Mi reggo alla ringhiera e respiro profondamente.

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