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Quel tumultuoso amore fra la dolce Isabella e
l'infuocato Foscolo
Un Amore con la «A» maiuscola, quello che può nascere nel
cuore dt un ragazzo per una donna splendida, più anziana di lui. Il primo,
quello che strugge tra il sentimento e il desiderio, vago ma profondo,
alimentato per tutta la vita dalla memoria di pochi attimi fuggenti, una
carezza, un'occhnata, un rapido sfiorarsi nell'ombra di un giardino. Un
ricordo, che l'attenzione maliziosa della femmina mantiene sempre desto, maga
solo per civetteria.
E' l'amore fra Ugo Foscolo e Isabella Teotochi Albrizzi, prima
acceso e passionale, via via trasformatosi in una amicizia complice ma salda. La «storia» del rapporto fra il poeta di Zante e la Teotochi
(anche lei greco-veneziana) viene riproposta da Antonio Chiades in: Addio,
bello e sublime ingegno addio (Libri Scheiwiller, Milano) in collaborazione
con la Provincia dì Treviso.
Il libro completa la ristampa anastatica dei Ritratti
pubblicati da Isabella Teotochi Albrizzi nel 1807 (stesso anno e stesso editore
dei Sepolcri foscoliani). Ritratti, di chi? Soprattutto dei frequentatori
del salotto veneziano della Albrizzi (Alfieri, Pindemonte, Cesarotti, Canova,
Foscolo, Byron e altri), un salotto vagante tra la laguna e il Terraglio, alle Grazie vicino a
Preganziol, nella villa di Isabella.
Proprio tra i «grandi alberi ospitali» di villa Albrizzi, agli inizi dell'Ottocento, Foscolo aveva «immaginato» i
Sepolcri. La villa del Terraglio, dopo il breve e tumultuoso amore con
Isabella della primavera 1806, rimase per: il poeta, una presenza tenace, una
irrisolta nostalgia, ampiamente documentata dal carteggio tra Foscolo
piuttosto ampio, e la Teotochi.
Addio, bello e sublime, addio e i Ritratti sono stati
presentati recentemente proprio a villa Albrizzi. «...Isabella Teotochi Albrizzi
è una delle figure più rappresentative della femminilità
intesa come attivatrice di possibilità spirituali; ella sa gestire con
passione e insieme con gentilezza, oblatività, sottigliezza duttile, il
trascolorare degli affetti e dei grandi miti culturali che emergevano e
maturavano rapidi in quegli anni. Basterebbe il solo rapporto con Ugo Foscolo
a qualificarla... Ma se vediamo Isabella come animatrice d'incontri umani e
culturali, se la vediamo tra Foscolo; Pindemonte, Cesarotti, Canova (solo per
accennare ad alcune delle numerose grandi figure che si mossero intorno a lei),
la sua presenza, più ancora che quella di altre famose animatrici conterranee
diviene quasi emblematica della stessa Venezia: di una Venezia che si apriva
dalle Alpi fino all'adorato e lucido mare greco, fino all'Oriente, con il suo
dominio che era prima di tutto culturale. In Isabella pare quasi s'incarni la
continuità di questa Venezia che muore travolta da Bonaparte ma pur generando
nuove epifanie, di cui Foscolo è la più sorprendente...». Così scrive Andrea
Zanzotto nella prefazione ai Ritratti, e lo ha ripetuto nella serata a villa
Albrizzi, presenti Nico Naldini, Vanni Scheiwiller e Gianfranco Folena.
Un «revival» romantico, concluso con la lettura da parte di
Osvaldo Ruggieri e Maria Grazia Grassini di alcuni brani di lettere fra Ugo e
Isabella: alcune, di straordinaria bellezza e forza espressiva. Una testimonianza che aiuta a "recuperare" un
Foscolo inaspettatamente "attuale" nel dibattersi fra autonomia
artistico-intellettuale e mediocrità del "Potere" in quanto tale, un Foscolo
poeta "puro" che sperimenta su di sé la frattura fra cuore e ragione. Una frattura a cui invano Ugo Foscolo cerca consolazione,
scrivendo a Isabella Teotochi Albrizzi: «Soffocato dal sole e dalla polvere ho corso queste cinquanta
miglia e sempre pieno di voi, e vinto dal desiderio della mia patria, e
funestato dalle disavventure de' miei cari – il mio olio e il mio vino è scarso
a tante piaghe! – oh come tutto mi lusingava a protrarre il mio viaggio ed a
ritornare a Venezia! E voi sempre, voi seduttrice, mi state davanti... Vivrò
con lui (Pindemonte) tutt'oggi e parlerò e mi
parlerà di voi – e questo sostarmi in Verona tempra alcun poco le noie, le
paure, e l'ardore de' voti che mi circondano da quel dì che disti addio ai
grandi alberi ospitali della vostra villa. Sono le due – e mi pare di vedervi
con l'Abate – mi disse che sarebbe tornato ieri sul Terraglio – e col Conte, e
col mio Pippi, e col buono Anchise passeggerete tutti nel viale d'Ippolito. Io
vi prego di passare talvolta anche per quell'altro viale e di cercare ombra
all'arbore che ci raccolse mercoledì scorso a quest'ora, e di nominare
talvolta l'amico vostro in quel luoggo ch'io ve ne rimerito; né v'ha ora del
giorno in cui l'animo mio non mi discorra di voi, né società la quale possa
distogliermi dalle conversazioni che le memorie de' giorni passati e le
lusinghe de' giorni ch'io spero tengono sempre nel mio secreto... Tornerò
dunque, ma non tornerò se non con la certezza di stare in Italia, e se non a
Venezia, almeno a Padova, o a Treviso, ed anche a Chioggia, ed anche
nell'Eremo di una montagna del Friuli: saluterò su l'alba da quelle alpi il sole
nascente e la vostra casa...». (giugno 1806).
Al messaggio Isabella risponde, consolatrice: «E di voi intanto che sarà! Anche questa spina è
pungentissima al mio cuore! Foscolo mio, io sarà a Padova pei primi
dell'entrante mese. E ci resterò fino a settembre. Non fareste voi una scappata?
Oh quanto mi sarebbe dolce il rivedervi e quante cose, che malgrado il cuore
traboccante la penna si rifiuta di scrivere, avrei a dirvi. Più volte ho dovuto
calmare la vostra buona famiglia, costernata al solo sospetto che foste in
campo. Vedete se di soldati ha duopo Napoleone? Non sono mai bastanti gli
uomini come voi, se pur anche ce ne fossero alcuni, che io nol credo, né
certamente gli conosco. Vivete, mio dolce amico, vivete alle Muse, alle lettere,
agli amici vostri, ed amate sempre Isabella» (giugno 1809).
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