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Gianni Di Lena, il poeta pisticcese riconosciuto in tutti gli
ambienti, è alla sua quarta pubblicazione, dopo le sillogi poetiche di Un giorno
di libertà (1989), Non si schiara il cielo (1994) e Il morso della ragione
(1996).
Il delicato Gianni ha qualcosa da dire agli uomini, il suo
cuore trabocca di sentimenti: il suo strumento è il versó, è la poesia che
meglio della prosa esprime le finezze dell'animo, le corde del cuore, i
sentimenti forti del coraggio e della debolezza . Sono 43 liriche che ci
ricordano che la poesia non è rimedio, non è panacea, non è salvezza, non dà
risposte certe, non illumina "il prato polveroso dell'esistenza".
Cosa offre allora la poesia all'uomo? L'illusione, un mondo diverso che noi ci vogliamo costruire
giorno per giorno, un mondo che noi vogliamo diverso da quello che è. Il mondo
reale è estraneo al poeta, non gli appartiene perché convinto che è un mondo
basato sull'apparenza, con il quale non riesce ad entrare in contatto (o forse
perché non ha il coraggio di farlo). La poesia della silloge Coraggio e
debolezza è intrisa di una lotta che l' Autore combatte e che cerca a modo suo,
con lo strumento del verso e dei segni linguistici che imprimono alle parole
"una molteplicità di ritmi ora mesti ora franti ora con una parvenza di
movimento" (Modugno). Il poeta lotta contro la solitudine ma invano, poiché
avverte l'impossibilità di sognare, di sperare, perché è solo con i suoi
problemi senza garanzie: "Ognuno è solo | nel suo tratto di vita | e traccia il suo
futuro | con la forza delle proprie mani. | E' un dolce inganno | il civil vivere
| un
rituale | ma ognuno resta solo | terribilmente... | e nella sua immensa solitudine
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non entra mai nell'altro". Il poeta non è però disperato: di fronte alle
brutture, agli inganni, alle apparenze, alla stessa solitudine sente il bisogno
dell'amicizia e dell'amore: "Ho lasciato scorrere la mia vita | pensando a te | Non
un passo | non un gesto | non ho deciso niente | se non c'eri tu | che presenziavi il
mio cuore. | Tu mi appartieni | (amore) | e ogni cosa mia | porta il tuo nonne".
Oppure, come autodifesa, si rifugia nell'ironia: "Combatto | la mia
delusione | con una dose | sarcastica | d'ironia". Oppure nella grande voglia di
combattere, di lottare: "Concedetemi solo un attimo... | voglio illudermi | di
spezzare il mondo | con queste mani di terracotta | di ardere la terra | con il fuoco
della mia rabbia | di sradicare i templi | della Giustizia coatta".
Come in altre sillogi non manca il richiamo all'ambiente del
Sud, un mondo senza speranza, fermo, una terra di stenti e di fame . Però c'è la
speranza che il Sud abbia più coraggio, che gli uomini abbiano più
determinazione per non essere come mummie chiusi in sarcofagi di cemento armato.
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Recensione |
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