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La poesia di Filippo Giordano ha radici di vecchia data. Non per questo, comunque, sembra demordere da una disamina dei suoi luoghi, degli ambienti, della natura e da chi ci vive, con amore o disamore, ma ancorato sia al posto, sia a un presente muto di speranzosi spiragli. Il futuro è distante, forse, “oltre il buco dell’ozono”, poiché “l’idolo della ricchezza | brucia il polmone del mondo” e “coltri luminosi di tetti” racchiudono “il tempo in gabbie di luce”. La dicotomia fra paesi e città, del resto, rende ancora più acri le contraddizioni di un’esistenza in cui il vivere ha soltanto la fretta del profitto capitalista, simile allo strisciare “del serpente sul sentiero”. L’autore dipana così la propria versificazione, a volte persino rimata, sempre delicata e ruvida a un tempo, quasi fosse intrisa della propria terra e dell’humus che la percorre e la fa vibrare. Come nelle precedenti raccolte “Del sabato e dell’infinito”, che ha una incalzante prefazione di Sebastiano Lo Iacono, traduce ciò che trascorre con realistico slancio e febbrile desiderio di un “infinito” orizzonte diverso dalle nebbie dell’attuale realtà sociale. Lo stile accattivante, il verso delle immagini sapide e talvolta sinuose, fanno di questa raccolta un prezioso gioiello poetico il cui autore si rivela maturo cantore del nostro tempo e della Sicilia di oggi.

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