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Le considerazioni che si son fatte, a proposito delle
«modificazioni» verificatesi nella nostra poesia contemporanea durante
quest'ultimo ventennio, potrebbero trarre origine dalla «gestione ironica», con
cui, a metà degli anni '60, si abbandonò la linea della psicologia e della
psicanalisi per approdare alla «biologia». Vorrei citare appunto
l'Auto-biologia di Giovanni Giudici, dove in effetti l'autobiografismo si
risolve in «autobiologia».
Ma la fiducia nella parola, come unica realtà biologia
peculiare dell'uomo, porta alla rivalutazione dei generi letterari, del romanzo
lirico o della novelli in versi, in qualche caso persino del romanzo
cavalleresco, alla maniera di Luca Ronconi.
Il ritorno al romanzo lirico, di cui
Isole e vele, di Veniero Scarselli, è un preclaro esempio, è ancora una
prova, per il nostro tempo, della necessità psicologica di una «rotazione dei
possibili modi di intendere la letteratura», secondo l'indicazione di Roland
Barthes. ll «romanzo» di Scarselli, a prescindere dalle competenze specifiche
dell'autore in campo scientifico, con il suo musicale, aperto e libero slancio
poetico, che ci richiama certe ariose pagine di Comisso o di Vittorini, ha
certamente le sue profonde radici nella cultura dell'Avanguardia storica, col suo senso della
vita come esperienza, avventura e, spesso, atto gratuito. Ci ricorda, come
avverte Vittorio Vettori nella sua limpida prefazione, il nome di Pound e,
aggiungerei, di Joyce o dell'Ungaretti del Porto sepolto. Ancora, a proposito
della segreta e splendida «poesia del deserto» ivi raccontata, citerei Gide,
Camus e persino Follereau, del cui spirito di «piccolo cristiano» è possibile
scorgervi qualche traccia. Tale ricchezza di riferimenti, sempre più
sorprendenti man mano che, in un testo apparentemente semplice, si vanno
recuperando, dimostra la profonda vita poliedrica di una poesia che così
ritorna ad una sua funzione evocativa e liberatoria.
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Recensione |
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