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Si dice che chi è soltanto poeta non è nemmeno questo. Il
culto esclusivo della parola brucia vanamente i suoi incensi. Una vita come
quella di Veniero Scarselli è una prova di come la molteplicità di interessi non
distolga dalla poesia, ma anzi la arricchisca e in qualche modo la purifichi,
togliendo gli indugi del troppo e del vano. Biologo con incarichi universitari e
direttivi nelle industrie, sia in Italia che all'estero, lo Scarselli ha
pubblicato numerose memorie scientifiche ma solo ora, dal ritiro in cui si è
chiuso sulle pendici dell'Appennino, ha dato alle stampe le liriche composte fra
il 1968 e il 1980, apponendo al titolo Isole e vele il sottotitolo romanzo
lirico. Sono poesie che intessono il romanzo esistenziale, la trasfigurazione
lirica delle vicende fondamentali della vita, le tappe del viaggio attraverso
l'amore, il dolore, la caduta, la rinascita. Dalla memoria il naturale e il
vissuto emergono in una dimensione visionaria, incalzante e febbrile,
continuamente alimentata dal topos del viaggio e della navigazione, nel solco
della poesia simbolista e visionaria; che all'inizio di questo secolo portò
Campana sul bastimento e, nel secolo scorso, Rimbaud sul beateau ivre.
Ma Veniero Scarselli, sulla sua imbarcazione, non si ubriaca
e non si smarrisce. Sa gettare l'ancora a terra, nello stesso luogo da cui era
partito. Nell'introduzione Vittorio Vettori sottolinea l'armonico arco sonoro
che unisce l'inizio del romanzo-poema («All'oasi di Abu Hassan | è la fine
predestinata | del lungo viaggio temerario») con la conclusione: «All'oasi di Abu Hassan
| non arrivate giammai | viaggiatori che nel deserto | avete smarrito
il cammino | lasciatevi piuttosto | infuocare dal sole | o intanati in una buca
| come lucertole della sabbia | contenete la sete | attendete la notte | ma
all'oasi di Abu Hassan | non mettete mai piede...». La forma della parenesi è
una delle tante che assume la fervida fantasia del poeta, rampollante di figure
e immagini nell'esprimere l'illusorietà precaria di ogni condizione umana,
sempre tesa al superamento di sé. Il libro è percorso dalle grandi metafore
dell'oasi, dell'isola, della torre, del serpente che muta la pelle. Entro un
così dilatato orizzonte mitico i tempi dell'amore e del dolore emergono come
dall'abisso primigenio. «Ti scrivo prima che la febbre | mi tolga la memoria»
asserisce il poeta nella prima lirica, mentre nell'ultima esprime il dubbio:
«Così moltitudini di notti | tutte piene di stelle | e tu le conti insonne | ma
non sai se è delirio | o inganno della memoria...». Da una febbrilità
memoriale nasce il linguaggio poetico di Veniero Scarselli, senza necessità di
sperimentazioni verbali e senza mescidare, come fanno altri, la lingua
letteraria con termini del vocabolario scientifico.
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Recensione |
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