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A cura di Fulvio
Castellani, noto giornalista-scrittore di Udine, è uscita una lunga intervista
con il poeta-scrittore Francesco De Napoli, nato a Potenza nel 1954 e
residente a Cassino. Il libro s’intitola La memoria e la satira,
ed è pubblicato da Francesco Ciolfi Editore. Lo scrittore Peppino Grossi,
preside del Liceo Classico di Cassino, nella Prefazione sottolinea il reale
profilo dell’opera, che possiede, in effetti, “tutti i requisiti e tutti i
caratteri dell’autobiografia”.
Fulvio Castellani giustifica l’attenzione riservata all’attività letteraria di
Francesco De Napoli spiegando come questi abbia ormai acquisito un indiscusso
prestigio, visto che persino il grande poeta russo Evgenij Evtushenko individuò
in Francesco De Napoli uno dei “più interessanti poeti italiani dell’ultima
generazione”.
Il colloquio muove dalle pungenti
domande di Castellani, attento a carpire dalle rispose date le più sottili
sfumature culturali, psicologiche ed affettive della complessa personalità di De
Napoli. Dagli insegnamenti spesso manipolati della storia ai camaleontismi del
dubbio, dall’autentico valore dei sentimenti all’idea di “poesia”, la
conversazione fra De Napoli e Castellani si sviluppa lungo un percorso
affascinante e lineare, restituendo alla letteratura la sua più antica e nobile
funzione educativa e formativa. Una domanda di Castellani, in particolare, aiuta
a cogliere lo spirito autentico dell’impegno umano, politico e letterario di De
Napoli: “L’intellettuale deve schierarsi o no?”
Questa la risposta dello Scrittore
lucano:
“Gramsci, nelle pagine iniziali degli
scritti raccolti nei Quaderni del carcere (nel volume che la critica ha
intitolato Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura) poneva il
quesito fondamentale: ‘Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e
indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria
specializzata di intellettuali?’. Non a caso si tratta d’un interrogativo che,
nonostante le prescrizioni fornite dallo stesso Gramsci, rimase privo di
risposte nette. Gramsci non era così ingenuo da ritenere che un intellettuale,
recante l’etichetta doc del proprio partito, potesse pretendere di
trascinare un intero popolo. Egli era estremamente acuto ed intelligente, dalla
mentalità molto elastica, come dimostrano gli altri suoi scritti, a cominciare
da quelli sul Machiavelli. Se avesse avuto il tempo e la calma necessaria per
sviluppare le sue riflessioni, sarebbe giunto a certe conclusioni.
L’intellettuale engagé deve sentire, accompagnare e seguire – soprattutto
interpretare – queste lente prese di coscienza, tirarle fuori dal loro stato
latente e diffonderle senza mai forzarle, anche perché non avrebbe alcuna
possibilità di smuovere, guidare o governare dall’alto i distinti moti e momenti
dei processi evolutivi. L’artista e il narratore possono interpretare, il
filosofo e il politico no. Intellettuale, quindi, organico alla cultura e
inorganico alla storia.”
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Recensione |
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