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Il 10 Febbraio 2009 alla Biblioteca Civica di Abano Terme ho
partecipato alla presentazione della raccolta poetica di
Paolo Ruffilli Le
stanze del cielo. L' incontro, tenuto dallo stesso autore, è stato arricchito
dai preziosi interventi di
Maria Luisa Daniele Toffanin (poetessa) e Stefano
Valentini (giornalista).
Grazie a quest'esperienza ho potuto confrontare la mia
interpretazione del testo, e più in particolare delle poesie, con l'analisi
dell'autore che ha sicuramente dato un valore aggiunto all'opera. Ruffilli ha
esordito negli anni Sessanta e fino ad oggi ha pubblicato numerose raccolte, la
cui importanza è stata riconosciuta con prestigiosi premi letterari. Tutti i
suoi lavori sembrano essere legati da un filo invisibile che li accomuna, anche
se con gli anni il modo di scrivere è cambiato. Questo mutamento non lo ha
portato però a rifiutare o rinnegare le sue prime opere, poiché dietro ogni
libro si cela un ossessione che per l'autore diventa un elemento fondamentale.
La raccolta poetica Le stanze del cielo è divisa in due parti:la prima
dedicata al mondo del carcere, la seconda alla realtà della droga ed entrambe le
esperienze sono caratterizzate dalla perdita della libertà e autonomia della
persona. Il testo è costituito da 83 canti, che possono essere definiti dei
monologhi. C'è però una sostanziale differenza: la voce del detenuto cambia tono
in base agli argomenti affrontati, invece quella del tossicodipendente è quasi
sempre delirante. La sezione dedicata al carcere affronta svariati argomenti:la
non libertà, la famiglia, il sogno e, nodo centrale, l'importanza che l'autore dà
all'uomo in quanto persona con una propria dignità. All'interno della prigione,
però, il detenuto vive una vita senza prospettive che lo porta a lungo andare
alla disperazione. Il carcere viene visto come una punizione che la società
impone ai soggetti deviati. Per Ruffilli, però, il detenuto non riesce a
compiere all'interno di esso un percorso di recupero poiché quest'ultimo può
avvenire solo con la solidarietà, che in carcere non è presente. Per questo
motivo l'autore vede la prigione come l'istituzione più incivile della nostra
società. In ogni poesia troviamo una "radiografia" dell'anima del detenuto,che
attraverso immagini,siano esse complesse o semplici,si interroga sia sul passato
che sul futuro.
Per scrivere questa raccolta poetica l'autore ha affermato di
non essersi documentato, poiché si definisce un anti-realista: la sua scrittura
si fonda sull'immaginazione e l'impulso. I suoi testi sono caratterizzati da una
forte musicalità che Ruffilli afferma di ottenere solo dopo averli letti più
volte a voce alta. La scrittura è una partitura musicale e come affermava
Leopardi "La sofferenza è un'amplificazione della conoscenza", per questo motivo
l'autore scrive solo, come già detto, mosso da una personale ossessione.
Durante il dibattito Stefano Valentini ha posto l'attenzione
sulla differenza che possiamo notare tra i monologhi di Spoon River, i cui i
protagonisti si vogliono far riconoscere, e quelli di Ruffilli in cui le
molteplici voci diventano una, poichè una è la sofferenza e l'angoscia che
accomuna detenuti e tossicodipendenti.
Infine posso affermare che partecipare a questo tipo di
esperienza mi ha arricchito sia dal punto di vista culturale che personale. Un
evento che permette ai giovani di potersi accostare alla letteratura in modo
diretto, attraverso la voce, la sensibilità e il vissuto dell'autore.
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Recensione |
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