Il pessimismo e l'estraneamento, condizioni esistenziali
nella poesia di Giovanni Di Lena
Un velo di pessimismo corre lungo i versi dell'ultima fatica
poetica di Giovanni Di Lena. Un pessimismo cupo e rassegnato che
emblematicamente dà il titolo alla raccolta: Non si schiara il cielo, Lacaita
ed. 1994. L'alba è muta. E il poeta, che pure si era illuso che il cielo potesse
illuminarsi di vita e di ideali nel nuovo, è sbigottito nel riconoscere la
solita routine quotidiana. E, allora, desolatamente "l'usignolo non canterà".
Pessimismo cupo e privo di speranze.
La condizione di sconfitto è rassegata e accettata come fatalità a cui il
poeta non si oppone, dell'inutilità dello sforzo: "io sono come un esule | in
balìa di un sistema | che mi allontana sempre più" Farsa; "noi
non abbiamo neppure osato" Sogno inaudito; "giovani superstiti condannati
a | gioco | dai saggi del potere" Il gioco perpetuo; "Abbiamo sfogliato molti
libri | ma, come stupidi, | li abbiamo gettati | in uno scaffale | che non troviamo
più" A Rosario; "nemmeno la speranza resta" Crisi; "Rocco, | non è cambiato
niente | Non è cambiato niente.
A volte, tentativi di ribellione, subito rientrati, cercano
un'affermazione impossibile: "ci prende la voglia smaniosa | di fare | Prigionieri;
"io vivo dimenandomi | fra peripezie avverse | come un cane pieno di rabbia"
Sfogo.
In silenzio, l'angoscia e il pessimismo sono appena smorzati
dagli ultimi tre versi: "siamo tornati in piazza | a veder nascere il sole
| a veder
spuntare le stelle", mentre Sulla grande piazza, l'immensa piazza Elettra di
Marconia, proiettata in un clima surreale, rappresenta per il Di Lena la
condizione esistenziale dello estraneamento: "vagano alla ricerca | di qualcosa
che non c'è | anime infelici di un contesto surreale".
Quanti, almeno per una volta, varcando il grande spazio della
piazza, non hanno avvertito questo senso di angoscia, questa paralisi del vuoto,
quasi un'oppressione metafisica incombere impalpabile e struggente? Il poeta
mille volte per mille sere ha visto spegnere il suo sogno e il sogno dei suoi
amici sulle loro facce stralunate.
Anche la luminosità del verso in "Ti parlo mentre nasce il
sole" è subito smorzata dal volto malinconico (la donna amata?) che il poeta
vuole rasserenare. Non bisogna dire che il mondo è buio, non si deve pensare al
buio della morte; ma nel momento in cui il buio del mondo e della morte è
esorcizzato e allontanato, la sottolineatura e il contrasto con la luminosità
del sole che nasce diventano più stridenti e più desolanti. Sono questi i versi in cui il poeta raggiunge il più alto
picco di liricità.
Delle tre sezioni in cui si compone la raccolta, la prima
Dimenticati è la più densa di significato poetico. La seconda, Memoria, raccoglie spunti di struggenti ricordi
familiari, di care figure parentali, ormai perdute. Ti parlo mentre nasce il sole
– la terza parte – è
caratterizzata dallo spunto impressionistico e bozzettistico con l'imprevista
Liberazione: "Voglio aria | e profumo di allegria, | per far naufragare | la
malinconia".
Non si schiara il cielo stamattina L'alba è muta
e sbigottito
l'usignolo non canterà
Giovanni Di Lena
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