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Il titolo del libro Ombra della sera
rispecchia in un modo significativo lo stato fondamentale dell'Autrice che, nel
suo dire poetico, esterna non solo il "taedium vitae", ma l'incertezza
esistenziale, la perplessità angosciosa di fronte alla vita ed al suo esito
ineluttabile. "Forse la vera essenza – dice la Poetessa – si svela nel tardo
crepuscolo" e da quel varco balugina un lume. Allora, ella scende nel suo intimo
e trova nel ricordo del passato illusioni e incomprensioni, come un male
sottile, un tarlo persistente che le impedisce di accendere "la lampada pura" di
Tagore e di "scrivere parole di cielo". "Scrutare il mistero che incombe |
m'avvince, ma più mi tormenta" e ancora "Andare lontano, danzando | leggera sul
ponte d'argento, | verso il Nulla, nel Nulla | assoluto, eterno, infinito... |
La luna mi chiama". C'è, dunque, tutto un filone leopardiano intriso di
profonda mestizia.
Ma c'è anche l'incontro con la natura che l'incanta e le
regala momenti di gioia. Così a se stessa rivolge l'invito a "guardare con occhi
sereni i rami di mandorlo in fiore... le timide viole"; così gioisce nel
cogliere con lo sguardo "i fiori nel giardino di Monet" e "l'animo rinasce al
colore, | al suono, al profumo alla luce". Cogliere i fiori nel giardino ... mi
appare emblematico dell'apertura a tutte le forme di bellezza sia naturale sia
artistica della Poetessa che, come laboriosa ape, trae il dolce succo della
poesia da tutti gli aspetti dell'umana vicenda, riecheggiando la voce dei grandi
Poeti antichi e moderni. La sua contemplazione si esprime in felici immagini dal
lessico raffinato, che danno un senso di abbraccio cosmico. Ciò si evidenzia
soprattutto nella quinta sezione (la silloge è divisa in sette sezioni), dove il
canto della terra è un susseguirsi di quadri dalle splendide pennellate di
colori; fino all'ultimo canto in cui le "lacrimae rerum", di virgiliana memoria,
vedono la natura, non più ridente, ma oppressa e vinta dal dolore universale.
Assolata è la visione delle Elegie sicane, colme di colore e di reminiscenze
classiche, di cui palesemente abbonda tutta la produzione della Gernetti, ricca
di un vasto patrimonio culturale ed estetico. Ma nel Notturno tornano le "parole
d'ombra" e malgrado il pascoliano "ponte d'argento" torna il dubbio angoscioso
"oltre la soglia" sotto lo sguardo indifferente delle stelle. Nell'ultima
sezione del libro Thanatos, la poetessa si sofferma su pagine truci della nostra
storia, nelle quali sorge, oltre la memoria, l'eterna domanda sul male e sul
dolore degli Innocenti: dai "tremila delle Torri Gemelle ignari, sereni, operosi"
ai piccoli afgani dinanzi al corpo immobile della madre avvolta nel burqa
insanguinato, ai bimbi ebrei diretti ai forni crematori...
Come giustamente
osserva il Gagliardi nella sua prefazione "la voce superstite tiene assieme
scritture ed esperienze... per far ritornare nel presente ciò che si
è perduto".
E storia che diventa poesia, quando la memoria fluisce nel linguaggio poetico
con la forza espressiva e la profonda sensibilità della Poetessa.
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Recensione |
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