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Autore prolifico ed efficace, Veniero Scarselli, che dal 1988 ad oggi ci ha regalato ben sei libri di poesia, tutti epico-poematici. La puntualizzazione è d'obbligo perchè ci fa capire subito su quale versante egli si ponga: recupero del genere epico all'insegna della intelligibilità e trasparenza dei significati. Precisiamo, per parte nostra, che il nuovo lavoro si colloca parallelamente ad Eretiche grida, di cui parlammo l'autunno passato su queste colonne, per virulenza espressiva ed è consequenziale su piano bio-bibliografico. Allegorie e metafore si susseguono incalzanti nella tessitura stringente dei versi: istinto e razionalità dell'uomo di fronte al mistero della morte. Ascoltiamolo: "... essere ben pronto a fuggire | se la Cosa non morta | mi si levasse orribile davanti | con le sue braccia e mi sbarrasse la strada, | non più madre né amico, ma essere | mai creato da Dio né da natura | e nato dentro l'uovo vuoto | della Morte". Un nuovo terrore pagano di fronte alla visione di una cara salma (è quella della propria madre) nella metamorfosi orripilante intravista nella visionarità? Può darsi, ma qui i significati potrebbero essere molti, tanti quanti i lettori potrebbero trovarvi: qui domina la polisemia. Dunque una intelligibilità e una trasparenza radiali (meno male per noi) non esaustive né perentorie. Passaggi come quello sopra riportato, che sono i più coinvolgenti, sono molti. Restiamo pertanto del parere che siamo di fronte ad una poesia molto complessa e non facile, ad una sorta di ermetismo di ritorno di cui ancora non conosciamo gli esiti. Ben evidente è il passaggio dalla sfida aperta, presente in Eretiche grida, per i drammi dell'esistenza, al timore-terrore nei confronti di quello più angoscioso, la morte, espresso in Piangono ancora come bambini. Indubbiamente tutto ciò desta nel lettore sensibilità condivisibili in cui riconoscersi solitamente

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