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Il sentiero del tempo
Penso che in quest’ultimo libro, Danilo Mandolini abbia raggiunto quella
maturità che in qualche modo si poteva già riscontrare nei precedenti lavori.
Questa maturità la si vede nell’architettura stessa del libro e
nell’organizzazione delle varie parti di questo. Scorrendo il testo, infatti, si
scopre subito che non si tratta di una semplice raccolta di liriche, ma di un
“pensiero” intorno ai temi cari all’autore e che progettano l’impianto delle
singole poesie. Pensiero poetante, come direbbe Antonio Prete.
[…]
I versi di Danilo Mandolini tendono sempre ad una sintassi minima,
delicata ed essenziale: “Quando gli chiederai di andare | fallo come se parlassi
a un bimbo… | Usa le frasi brevi dell’inverno. | Fallo accarezzandogli il viso.”
recita come una dichiarazione di poetica scritta, sembra, per svelare un
segreto. Il testo, inoltre, è dominato da un andamento narrativo nel quale
emerge spesso una delle ossessioni dell’autore: il tempo (si noti il “guizzo” un
po’ amaro che chiude il volume: “Porto il mio sentire verso il mare, | verso
l’attimo che vuoto si fa sera.”). Il tempo, in Mandolini, non è mai un concetto
astratto, e non ha una valenza filosofica; eppure è qualcosa che determina il
vissuto, la quotidianità, senza essere – in ogni caso – capito. Il tempo di cui
l’autore ci parla è il tempo dei ricordi; il tempo di una cartolina o di una
lettera. Un tempo che è tale nel momento in cui lascia una traccia, uno sguardo
che si perde in lontananza. A questo proposito, si notino i versi – un po’
eraclitiani (dice Eraclito, in un suo famoso frammento: “il fiume in cui
entriamo è lo stesso, ma sempre altre sono le acque”) – che dichiarano “Tutto
passa oltre e nulla torna | per i sentieri che si pensa di conoscere…”). PANTA
REI, quindi. Come in Eraclito esiste il fiume in cui ogni cosa fluisce in
perenne mutamento. In Radici e rami è l’immagine del sentiero a stabilire
l’unità degli opposti: tutto è sentiero, mutabilità e immutabilità. Infatti,
perché tutto passi oltre, bisogna che ci sia qualche cosa che non passi, e
questo qualcosa è il sentiero stesso che sorregge la mutabilità del fluire. Il
tempo del quale ci narra Mandolini, però, è anche il tempo della morte; di una
morte che si mostra attraverso gli sguardi di chi la osserva; mai urlata; una
morte insinuata che, comunque, resta sospesa nel proprio silenzio.
[…]
C’è un continuo intercalarsi di differenti tipologie di brani, in
Radici e rami, e alcuni di questi sono frammenti di lettere scritte dal
padre alla madre dell’autore. Frammenti che vengono strappati da un contesto,
intimo e familiare, per essere inseriti in un altro contesto, nuovo, poetico ed
immaginario. Con questa operazione Mandolini sembra dirci che la poesia non
appartiene solo al piano della scrittura. La poesia è un’entità che si va a
scovare tra le pieghe del vissuto (di ogni vissuto), per risvegliarla lì dove si
nasconde. Si tratta di un’intimità che si rivela, ma che resta – comunque –
intima.
[…]
Radici e rami
è strutturato e scritto (lo rivela Mandolini nella sua nota posta in chiusura
del libro) come seguendo un “gioco” di specchi e riflessi, con dei versi che –
appunto – si rispecchiano a vicenda. E il “gioco” si ritrova anche nella
posizione e nella numerazione delle singole poesie. Anche la scelta del titolo
del libro risponde a questa esigenza: i rami e le radici sono i riflessi dello
stesso albero, così come un padre lo è rispetto al figlio e viceversa. E per
restare ancora al tema degli specchi e dei riflessi, caro all’autore, vanno
segnalate due bellissime quartine che aprono e chiudono la parte centrale (il
cuore) del libro:
Guardo mio padre guardarmi,
negli occhi parlarmi.
Guardo mio figlio guardarmi,
negli occhi ascoltarmi.
e
Guardo mio figlio parlarmi,
negli occhi guardarmi.
Guardo mio padre ascoltarmi,
negli occhi guardarmi.
Essere padre e figlio al tempo stesso… Non smettere di essere figli
quando già si è padri… Guardare al proprio padre quando era solo figlio e
pensarlo come essere da accudire…
Rivivendo il ricordo di alcuni versi di Borges in cui il tema degli specchi è
protagonista (“Sta in agguato il cristallo. Se tra i quattro | muri dell’alcova
c’è uno specchio, | non sono più solo. C’è un altro. C’è il riflesso | che un
teatro segreto monta nell’alba.”), Mandolini – con lo sguardo discosto del poeta
che racconta – recupera i suoi affetti passati e la figura del padre per
restituirli, come fossero ancora vivi, al tempo che perennemente trascorre.
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Recensione |
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