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La prima sezione
della silloge si apre con una esemplare composizione ritmata sul cammino
memoriale che con un salto all’indietro “alza il sipario | sulle felci
infreddolite dalla luna” . Qui è implicito l’impatto col presente reso a nudo
col verso epigrafico “Ora l’alba preme sui vetri”. In questo testo è contenuto
tutto il discorso poetico che Giordano va sviluppando via via sull’onda del
ricordo e con l’amara constatazione del tempo presente – con tutte le amarezze,
attese, ansie, e paure del presente privato e sociale (Disoccupati I, II, III,
Nomi qualsiasi… Eppure esistono…) e sotto lo stimolo di un passato riemerso,
limpido nei toni e nell’andatura (Lievi ondeggiano le canne, La vendemmia),
amorosamente accarezzato e ricomposto nei suoi tratti umani, gestuali, quasi
sacrali (Era giugno con giri di mulo).
Mi sembrano
queste le due componenti, le due linee tematiche che si intrecciano e si
rincorrono mescolandosi, e con apparente distanza del presente dal passato,
senza concessioni però al pericolo della retorica. C’è un controllo estremo dei
mezzi espressivi, pienamente equivalente al pudore di un riserbo, di un freno
interiore.
Il presente,
l’attuale, il quotdiano prende più ampio posto nella seconda sezione e si dipana
con la dovuta misura dell’essenziale, ma ora esplode nei toni della rabbia,
della satira, della ironia, ora si purifica nella mestizia dell’elegia (“Una
fetta di rabbia e l’altra di dolore” “mentre andiamo al calvario dell’ignoto”).
Nell’insieme si
nota subito il tocco di una mano esperta e scaltrita, una sensibilità fresca ma
controllata, un linguaggio essenziale, icastico, incisivo, sia pure non scevro
di qualche convenzionalità o di qualche arditezza, e spesso nitido in linee di
composta riuscita armonia.
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Recensione |
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