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Decidendosi a
dare alle stampe una scelta delle composizioni dell’ultimo quinquennio (tutte
datate tranne “Ritratto”: forse perché una poesia di un sol verso, di una sola
parola è meno impegnativa delle altre?) l’autore ha seguito la sua ricca
vitalità ed anche il fondo di tensione esistenziale che vale a riscattare quel
tanto di troppo facile e ottimistico, caricandoli di amplificazioni e di
significati simbolici e di una problematica, al centro della quale sta una
sensibile e sofferta visione della vita.
Il motivo della
donna è il più fortemente sentito e serve da filo conduttore in questa svariata
messe di poesie, sia quando essa è un traguardo, a volte ritenuto inaccessibile,
che sprona all’azione e a pretendere da sé il massimo per deporlo
cavallerescamente ai piedi dell’amata, sia quando nei momenti di dubbio e
irrequietezza e scoramento, Filippo Giordano interpreta il ruolo femminile
maternamente, una figura dolce e paziente e incapace di tradire l’aspettativa
dell’uomo. Vero è che la donna non è sempre soltanto la “sua” donna, ma spesso
si dilata a formare un bozzetto, come in “Domenica di paese”: qui le “manciate
di sguardi” alludono con incisiva efficacia semantica all’intenso bisogno della
vita provinciale di godere della festa come di un’occasione di contatto umano e
di ozio irripetibili, ma al tempo stesso di assaporare fino in fondo lo sciupio
delle nostre giornate, cui in certo modo non possiamo sottrarci. E questo è
ribadito dalla strofa finale che riteniamo opportuno riportare per intero come
esempio di asciuttezza espressiva ed anche di piana, irresistibile trasposizione
simbolica della realtà di tutti i giorni: “E la notte / lascia / i soliti
quattro gatti in piazza / a dissolvere / un’altra cotta d’alcool”.
A noi le poesie
più riuscite sono parse quelle più brevi, perché in esse la capacità plastica
dell’autore e la resa stilistica di particolari apparentemente insignificanti
meglio si compongono nella denuncia di una condizione umana e/o sociale. Si veda
in “Rivolta” la definizione del carcere come “fessura che rompe la diga”: pochi
poeti hanno saputo penetrare con tanta precisione nel senso di una istituzione
sociale senza perderne l’aggancio con tutte le altre componenti del nostro
vivere, fuori o dentro dal carcere. Oppure anche il primo verso di “Viuzza”, “I
fili si allungano verso i balconi” che per il capovolgimento del rapporto di
causa-effetto e il delicato affresco su una delle consuetudini più care e più
esotiche del costume meridionale, avremmo posto in copertina del libro come
titolo o sottotitolo.
Lasciamo alla
lettura dell’amatore l’analisi delle composizioni più lunghe, per riservare
spazio al gusto della ricerca e della scoperta personale ed anche perché il loro
contenuto sentimentale-cantabile e il ritmo più slentato e prosodico meglio si
prestano ad una degustazione che non sia schermata da note introduttive di
sorta. Avvertiamo, però, per una corretta comprensione dell’intera raccolta, che
anche dove il motivo dell’amore si fa più stemperato e sensuale e tende a
riassorbire in sé, se non a risolvere, l’intera emotività del Giordano,
serpeggia una vena, non sempre evidente, di tensione e di aspirazione, vale a
dire la nota più tipica e genuina e autentica della sua ispirazione.
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Recensione |
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