| |
Filippo
Giordano, nativo di Mistretta, nella collana “Presenze nella poesia degli anni
ottanta” che Carmelo Pirrera cura con competenza e passione per le Edizioni “Il
Vertice” di Palermo, ha pubblicato il suo quarto volume di versi, Strambotti
per viola d’amore: Vi ha fatto confluire una scelta di
lavori precedenti nonché un folto gruppo di poesie inedite, quasi a voler fare,
a guisa di navigante, il punto della sua rotta poetica.
Ci siamo
soffermati altra volta sulla poesia di Giordano sottolineando la capacità di
controllo che il poeta riesce ad esercitare sulle proprie e mozioni e il sano
impegno morale che di tale poesia si fa ragione. Con questo nuovo lavoro
–segnatamente per la parte inedita – come giustamente nota carmelo Pirrera nella
sua efficace prefazione, “il discorso di Giordano si fa più sicuro, ricco di
toni e di immagini icastiche. Vi è descritta e narrata – nelle e tra le pieghe –
l’umana avventura che si dipana attraverso le stagioni… l’avventura dell’uomo-poeta che si intesse di voci e di stupori, di silenzi e di risentimenti.”
Pur restando
canto e racconto, la poesia di Giordano ha stretto legame con la realtà, con la
terra di origine che se da un lato è cantata con amore filiale dall’altro viene
presentata come luogo in cui ancora è possibile rinvenire emarginazioni,
contraddizioni, atmosfera da mondo offeso e perseguitato”. Tutto ciò avviene,
come ben nota Pirrera, senza cadere nei trabocchetti dei sicilianismi e delle
similitudini, triste retaggio, aggiungiamo, di tanta lamentosa poesia isolana.
Giordano si
muove con dignità e fierezza con sana partecipazione alla vita e abilmente dà
cittadinanza a coloro che sono in cerca di lavoro, agli emigrati e sradicati, ai
bambini, alle vedove bianche, insomma atutti coloro che formano il genere umano
offeso. Perché, come diceva Vittorini, genere umano è quello del perseguitato. E
perseguitate sembrano le creature di Giordano se ancora oggi è possibile
rinvenire “bambini | che tremano sotto il peso del lavoro”, se solo agosto può
riportare “gli amici dispersi nell’anno a Torino chissà”, se i contadini sono
ancora “corpi | sulla strada del ritorno | la sera | meditano speranze | per i
figli sballottati a nord | di questa loro vita. | Stanchi, col cuore teso | a un
rigo di conferma”, se Mistretta “cresce uomini | e subito li espelle” se “vedove
bianche | attendono mariti | e al morto del giorno | si piangono anche i vivi”
se “i nostri occhi vorrebbero | richiudersi indifferenti | ma nell’iride |
implacabile | s’annida | l’ansia risorgente”.
Si noterà che la
poesia di Giordano è anche di denuncia pacata, mesta perché al fondo c’è amore,
anelito al miglioramento. Giordano è quello che – come diceva Umberto Saba –
dovrebbe essere ogni vero poeta: “Un bambino che si meraviglia di quello che
accade a lui stesso diventato adulto”. Da qui il chiedersi perché tanta
indifferenza, tanto disamore, tanta ingiustizia in una società che si arroga il
diritto di definirsi socialmente progredita. Se da un lato, quindi, non manca
l’impegno morale, dall’altro è messa in evidenza una religiosità di stampo
cristiano forte e virile a un tempo. La semplicità delle costruzioni sintattiche
e del lessico – che non precludono mai a un discorso incisivo – la felicità di
talune suggestive immagini, fanno di Filippo Giordano una voce interessante e
sincera della nostra poesia.
| |
 |
Recensione |
|