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Una rosa per il Belli
E'
stato Goethe a notare che a Roma , "sotto un cielo lieto e sereno" si osservano
per tutto l' anno continui spettacoli viventi. "Non passa festa che non si
espongano tappeti alle finestre , si spargano fiori, si tendano striscioni di
stoffa , rendendo le strade simili a grandi sale e gallerie". Tutto l' anno,
insomma, è Carnevale.
Traggo la citazione dal bel libretto di Emerico Giachery ,
Belli e Roma, appena uscito dalle Edizioni Studium, dove appunto il poeta romano
è protagonista tra Carnevale e Quaresima , tra i piaceri del mangiare e il
digiuno, imposto dalla povertà o dalla penitenza. Ricorda Giachery che Beniamino
Placido negli anni Ottanta portò ad una lettura belliana un libro introvabile La
cucina di G. Gioachino Belli dell' umorista Vittorio Metz, illustrato da Attalo.
Placido azzardò un collegamento tra la Roma del Belli e quella della Commedia
all' italiana, tra le osterie ottocentesche e Sordi, americano a Roma, che
sfida il piatto di spaghetti. Sebbene il Belli vada ben al di là dell' argomento
culinario, è utile registrare con Giachery che il verbo "maggnà" compare nelle
sue varie forme all' incirca centoventi volte, compresa, immagino, quella
furbesca derivata dal latino ecclesiastico "e su quel 'magna' ce so stati un'
ora". Tornando al Carnevale, l' autore ricorda che Belli stesso aveva
partecipato attivamente alle feste travestendosi da Cavaliere della Rosa. Andava
in giro con una rosa rossa sul cappello distribuendo motti vergati su carta
rosa. In un altro Carnevale travestito da imbonitore recitò una cicalata
intitolata "Il Ciarlatano". E' opinione di alcuni studiosi che il personaggio
interpretato da Belli abbia ispirato il Dulcamara dell' Elisir d' amore di
Donizetti. I due si incontrarono a Roma nel 1828. Dieci anni dopo quasi
certamente Gogol' ascoltò Belli recitare e ne parlò a Sainte-Beuve. "Un vero
poeta, un poeta popolare", annotò, previdente, il critico dei "Lundis".
28 aprile 2007
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Recensione |
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