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Ammiano
Marcellino in Res gestae riflette il clima di decadenza politica ormai
irreversibile dell’impero romano. Lo storico scandaglia il potere in
molti dei suoi rapporti con delle forze interne all’impero stesso: il
potere e la guerra, il potere e la diceria, il potere e l’ipocrisia, il potere e
la ricezione delle masse.
Maria Giulia
Sidoti, esaminando il testo di tale storico, utilizza le tecniche delle teorie
della comunicazione a noi contemporanea, tralasciando le interpretazioni
tradizionali dei discorsi contenuti nell’opera storica.
Nel testo la
Sidoti contrappone i discorsi tendenziosi, distaccati, retoricamente perfetti –
tali da manipolare l’esercito e ottenere il consenso – degli imperatori
Valentiniano e Costanzo a quelli dell’imperatore Giuliano, destinato a fallire e
a sacrificarsi come martire a causa del suo estremismo politico-religioso.
Dopo una mirabile
analisi delle allocuzioni tenute da tale giovane ed eroico imperatore, la Sidoti
dimostra come spesso siano più abili nel loro tentativo di persuasione coloro
che mirano a un beneficio personale piuttosto che al bene comune. La lettura
moderna di tale testo dell’antichità classica e soprattutto di un’età di crisi
come quella del basso impero, mette in evidenza come il potere,
soprattutto in un’epoca di transizione dalla tetrarchia al ritorno
dell’esperienza dinastica, possa affermarsi solo per mezzo della retorica,
attraverso cui generalmente si affermano tutti gli stati autoritari.
L’emittente, che in questo caso è l’imperatore, può così convincere il
destinatario cioè l’esercito, che conta solo sul numero, e non sa captare le
insidie di un’allocuzione nutrita di tutti gli espedienti retorici e di
approfondimenti psicologici.
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Recensione |
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