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La poesia di Angelo Di Mario è certamente un esempio di equilibrio lirico ed immaginistico. I “verdi smeraldi”, i “freschi odori”, le “ondeggianti peonie di grazia” del Sud fermentano il suo mondo poetico pregnante di sensualità. E’ per questo che la poesia assume accenti dannunziani e lorchiani, è ricca di quadri poetici. L’uomo di Di Mario condivide, a livello sensoriale, quale pietra o albero, l’armonia del globo. E’ antico nella sua aspirazione catartica, rifiuta la vita quotidiana anche se soffre a livello individuale e sociale. La stupefatta ammirazione della creatura colpita da “mani soffici” che affiorano “nel vento delle risate muliebri” si trasforma allora in angoscia strisciante nei traumi da pozzi sbiancati di tacita insonnia.

Il paesaggio scompare, lascia il posto ad “asprezze socievoli” “in piazze e tuguri, “prigioni e castelli”. L’essenza della vita sta in questa angoscia, che nutre una poesia protestataria di accenti aspri ma raccolti. Essa è la “proiezione fossile” dell’uomo libero, come gabbiano, oppure schiavo,, trafitto da “roventi chiodi”. Creatura che vive e si sente vivere. Tutto questo si trova nei due volumi di poesie di Di Mario. Essi sono la testimonianza di una voce pacata, sempre sofferta, quindi sincera.

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