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Che si stiano vivendo momenti bui, senza memoria di
quanto il passato ci ha lasciato di spiritualmente o anche solo poeticamente o
artisticamente valido, è sotto gli occhi di quanti sappiano ancora fermarsi a
riflettere nel tumulto del vivere contemporaneo. E tutti, più o meno
consapevolmente, ne subiamo le conseguenze con la sensazione che, non solo la
nostra, ma la vita in genere, stia perdendo ogni valore e significato. Che la
bellezza, la giustizia, l’amore siano soltanto miseri frutti di una nostra
ingiustificata nostalgia o fantasiosa sete di quel non so che, che sappia
distoglierci dal tedio quotidiano.
Tuttavia, nella grigia,
soffocante atmosfera, ecco a un tratto un improvviso lampeggiare: è luce che
proviene da un libro, un piccolo libro che nell’invitarci a Un’altra vita,
torna ostinatamente, coraggiosamente a proporci un tema che pareva ormai
dimenticato: l’amore fra un uomo e una donna. Non il sesso, di cui oggi si
abusa, o il sangue che spesso gli si affianca, ma proprio l’amore, come lo sogna
e lo rimpiange chi lo ha conosciuto, o come lo desidera chi spera di
incontrarlo. Paolo Ruffilli invia a chiunque lo voglia accogliere il suo
messaggio: l’amore, anzi l’Amore, è tutt’altro che morto; anzi, è proprio per
questo non saperlo riconoscere che siamo tanto disorientati, tanto sgomenti.
Ma, l’altra vita che l’autore ci propone, e lo
comprendiamo leggendo, altro non è che la Vita, non la sua stanca parodia che
ogni giorno recitiamo. L’Amore: uno sguardo, un lampo, una freccia, e sei al
centro dell’Universo. Tu, lui; tu, lei. Nient’altro. L’Amore. Si sono scritti
poemi, combattuti duelli, scatenate guerre con la scusa dell’amore. Si è molto
equivocato. Come donna ho sempre pensato che l’equivoco nascesse dalla diversa
visione che i due sessi possono avere del sentimento che più li dovrebbe
avvicinare fino a fonderli insieme mentre la stessa terminologia usata dimostra
il contrario: lui possiede, lei è posseduta; lui è il cacciatore, lei è la preda
o, nei casi migliori, il prezzo di una vittoria. Tutto ciò è assente dal libro
di Paolo Ruffilli, entrambi i protagonisti hanno le stesse ansie, le stesse
attese, le stesse gioie. Suddivisa in quattro parti seguendo il susseguirsi
delle stagioni, dando ovviamente all’estate la parte del massimo splendore,
com’è giusto; con cinque brevi capitoli per stagione, e ciascuno dedicato a un
personaggio della letteratura, più per un omaggio, direi, che non per un debito
d’ispirazione, l’opera sembra dichiarare, innanzi tutto, la necessità
dell’armonia. Quasi a suggerire il filtro della mente sul tumulto dei sentimenti
e dei sensi. Con la sensibilità propria del poeta, l’autore sa comprendere così
a fondo sia l’animo maschile sia quello femminile, – quello delle donne che
hanno “ intelletto d’amore” –, da sorprendere la lettrice. (“Come ha potuto,
lui, un uomo? ecc.”). Dimenticando in tal modo che stiamo leggendo l’opera di un
poeta che, come tale, possiede il dono, e in certi casi – non in questo – la
maledizione, dello sguardo di un veggente in grado di cogliere di ogni cosa o
fatto o persona, i lati più immediatamente percepibili come quelli più
reconditi. Oppure, che siamo di fronte al lavoro di un narratore, la cui
immaginazione gli consente di superare ogni confine, e, fra gli altri, quello
che sembra così netto tra il maschile e il femminile. (“Come fu possibile a Tolstoij identificarsi in Natasha?” Si domanda chi tale facoltà non possiede).
Fra i canzonieri d’amore “al
femminile,” penso che uno dei più belli sia stato scritto dalla poetessa
inglese Elizabeth Barrett Browning. Ne i Sonetti dal portoghese, (escamotage per nascondere dietro un titolo fuorviante, le lettere d’amore
inviate all’amatissimo Robert Browning e successivamente trasformate in
mirabile poesia) c’è un verso che nella nostra lingua suona così “In quanti
modi t’amo | Lascia che conti”. In quanti modi… e segue l’elenco di tutto ciò
che costituisce l’essenza della sua vita. Non è certamente esclusa l’attrazione
sessuale, ma non è tutto: i componenti che esprimono l’essenza del vivere sono
anche altri e altri ancora. Il vero amore fa dire da una donna all’amato “Tu
sei la mia vita”. La mia vita, la Vita.
Si parla di amori clandestini in
questo libro? Non me ne sono accorta; e se pure così fosse, nell’insieme del
discorso non mi sembrerebbe la cosa più rilevante. Un’altra vita, non vorrà
semplicemente dire cambiare compagno o compagna, ma, più semplicemente, penso,
possibilità di conoscere la vera Vita.
La Natura, descritta con
espressioni che gareggiano con la sua Bellezza, è una splendida cornice per
tanti istanti nei quali la trepidazione, i brividi, la scoperta della felicità,
sembrano spiegare il senso di ogni cosa, del vivere e del morire, del soffrire e
del gioire, in una parola, dell’essere. I due personaggi, lui e lei sempre senza
nome, collocati in un tempo non tempo, (sottolineato anche dall’uso
dell’imperfetto indicativo che cancella il ritmo troppo freddo dei giorni e
delle ore), sono pure inseriti in uno spazio senza confini, quel territorio
dell’anima il solo nel quale l’amore possa abitare, e nel quale, magari in
sogno, anche a noi è consentito accedere.
Verso la fine del
libro, con lo sfiorire delle stagioni e il sopravvenire dell’inverno, anche su
questo splendido percorso amoroso calerà l’ombra, com’era prevedibile; tuttavia,
ancora ebbri per la luminosità ricevuta, l’accetteremo come inevitabile
conseguenza senza che ogni traccia di sole sia per noi offuscata del tutto.
21 giugno 2010
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Recensione |
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