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Il reale il possibile

Quella di Giovanni Di Lena è una poesia che nasce da una volontà di denuncia delle sopraffazioni e delle angherie compiute dall'uomo sull'uomo, nella speranza che possa in qualche modo mutare uno stato di cose che si protrae attraverso i secoli e i millenni, senza che si possa intravedere ancora una via di uscita. E quanto emerge dal nuovo libro di versi del nostro autore, Il reale e il possibile, apparso nel 2011 per i tipi delle Edizioni Archivia di Matera.

La lotta di Giovanni Di Lena è col proprio tempo: "Questo tempo incerto | e senza spiragli, | disperato e senza Dio" (Non può finire così); un tempo nel quale la corruzione dilaga a tutti i livelli: "Venne l'Ispettore Governativo | a svelare | – con falsa incredulità – | l'intrigo lucano" (Questioni lucane) e nel quale "La voce del popolo | infastidisce i Potenti" (Lager), sicché "Dobbiamo ancora | fingere di credere che è solo un incubo | la voragine silente | che ogni giorno ci inghiotte" (Dobbiamo ancora).

D'altra parte il poeta ama la propria Terra e si sente legato ad essa in maniera indissolubile: "Avevo voglia di scappare | ma sono rimasto | perché t'appartengo, | terra mia" (Avevo voglia di scappare), pur sapendo che "L'assistenzialismo ci ha beffati", e che diventa sempre più difficile reagire ad un modus vivendi da sempre accettato passivamente: "non un guizzo insolito | o uno scatto d'orgoglio | scuote la nostra indolenza", sicché "Immersi in un torpore millenario | – come scheletri dormienti – | sopravviviamo | nel nostro universo sbagliato" (L'universo sbagliato).

Anche quelle ricchezze che pure la terra del poeta (la Lucania) possiede, come i giacimenti petroliferi, non vengono utilmente sfruttate (Il reale e il possibile), forse per neghittosità o forse per inettitudine. E Di Lena si sente frustrato, trovandosi egli a vivere in un Paese nel quale, nella volontà di apparire a la page, "Non c'è più limite ne ritegno, | ad usare la trasgressione come trofeo" (Fango). D'altra parte ormai l'uomo, "stupito dalla telematica" e "privato dei valor!", non "riesce più ad essersi fedele" (Difficoltà), sicché ne derivano l'alienazione e l'inappartenenza: "Le logiche del sistema | hanno dilaniato la nostra identità" (Affare industriale) e ne deriva il nostro muoverci come estranei in un mondo allucinato: "Non abbiamo parole | da scambiarci. | Un silenzio assordante | ci stringe il cuore" (Stasi in Valbasento).

Parrebbe, quella che affiora da questi versi, una situazione senza via di uscita, se nella seconda parte della silloge, Aria (la prima s'intitola Terra), non affiorassero, accanto a poesie ispirate da un sentimento di delusione e di sconfitta, come Infanzia e Verso un dove oscuro ("Adesso non hai scelta: | continui a vivere con la perdizione dentro", Infanzia; "Scontiamo la condanna | di un'idealità sbagliata | perseguita a sproposito | da irriducibili pifferai", Verso un dove oscuro), altre poesie nelle quali si fanno strada tematiche che paiono aprire un varco alla speranza, come quella della fede in Dio, al quale Di Lena si rivolge con fidente abbandono ("Aiutaci a trovare, | nel quotidiano vivere, | un sorriso affabile | un gesto spontaneo d'Amore | un piccolo sentimento di Pace", Natale); quella dell'amore per la sua donna, per la quale trova espressioni molto intense ("Spesso | rivedo i tuoi occhi neri | incantati || tra il fiume | del nostro amore | e l'infinito orizzonte del mare", In lontananza) e quella della fede nella poesia, che gli offre un appiglio quanto mai valido per compiutamente realizzarsi ("La mia poesia | si scioglie nella magia | della parola libera | incondizionata | ed è franca... | come me", La mia poesia). Una poesia franca e civilmente impegnata quella di Giovanni Di Lena, ma anche ricca di autentica e schietta umanità.
Recensione
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