| |
«Come un
fringuello | me ne andrò nel cielo | conscio | di incontrare | la mano perfida
|del cacciatore», così si potrebbe sintetizzare la poetica di Giovanni Di Lena
nella sua opera
Coraggio
e debolezza.
La sua lucidità espressiva sfreccia e scava con immediatezza nelle coscienze
assopite dell’uomo illusorio moderno, trafiggendone senza pietà la sostanza
vaporosa di cui è composta la sua immagine, smascherando così teorie di
simulacri ambulanti che sono ciò che in parte tutti noi siamo, finzioni di
anime represse al confino. Così netta è la natura aforistica delle quarantatré
liriche che compongono il presente volumetto, che non si andrà lontano dal vero
affermando che lo stile del Di Lena assume spesso le sembianze dei dialoghi
interiori propri di un filosofo, prima ancora che di un poeta.
È nelle terre di
nessuno poste tra il limitare della selva poetica e la radura illuminante della
filosofia che fioriscono i versi dell’autore. Sono fiori semplici e disarmanti
che prendono in mano il cuore di ognuno strizzandone le valvole della coscienza,
come la bellezza nuda di una margherita di campo solletica le nostre malinconie
d’infanzia. «Consapevolmente infelici | viviamo | tramando felicità |
esteriori», qui risiede il fulcro del suo pessimismo algido nei confronti del
modello di società che ci contiene. La sua rassegnazione profonda e piana
racchiusa in quel suo esemplare «Ognuno è solo | nel suo tratto di vita | e
l’altro non è mai con te !» che ricorda un analogo concetto espresso dal guru
indiano Osho Raijnesh, viene parzialmente mitigata da squarci di ribellione come
in “Urlo” dove dice: «…voglio illudermi | di spezzare il mondo | con queste mani
di terracotta | di ardere la terra | con il fuoco della mia rabbia».
Si tratta di
una ribellione non liberatoria, anzi fortemente disillusa e propria di chi ha
piena coscienza della prigione in cui vive. Per questa ragione il tono di
denuncia della condizione operaia delle liriche
Italsider
‘99, Operai
e
In
mobilità
stupisce ancor
di più in quanto a sensibilità sociale, proprio perché egli dimostra di reagire
al suo inguaribile pessimismo cercando di risvegliare le coscienze di tutti.
Nonostante lui dica: «Lino deve truccarsi prima di uscire» cioè forse a dire che
noi tutti recitiamo una parte nella grande farsa della vita e continui con «La
carne si è spaccata» per terminare con «Quale felicità mi resta | se non
scommettere | la mia vita al gioco | quotidianamente?!», nonostante egli
stesso nella dedica alla presente opera si rammarichi per non essersi
sacrificato abbastanza al fine di raccogliere l’eredità delle lotte dei propri
genitori, noi invece desideriamo dissetare la sua anima dilaniata dall’arsura
dei tempi affermando che la sua poesia, per contrasto, produce sani e benefici
effetti sulle coscienze, squassandole dal torpore e facendo loro rivivere
fremiti dimenticati.
| |
 |
Recensione |
|