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“Segmenti espressivi da soprassalto abbagliante”, così Rodolfo Tommasi nella sua introduzione all’opera, definisce gli strappi semantici scarnificati dal corpus poetico di Gianfranco Vinante.

Una poetica che, seguendo il filo critico tessuto dal Tommasi, trae sostentamento da un attraversamento referenziale protratto nella polivalenza semantica della parola ungarettiana, divulgatrice di luci scaturenti dalle ombre dell’essere, ombreluci dicotomiche emblematiche della condizione umana.

Vinante è poeta di meditata introspezione e misurata partecipazione alla scena letteraria (lo dimostrano i 31 anni trascorsi tra la prima e la seconda opera poetica pubblicata): di lui, sulle prime, restano scolpiti alcuni passaggi folgoranti, meteore che rischiarano susseguirsi di accordi di pianoforte in attesa, cogitazioni che cercano sbocchi e illuminazioni, come alberi e bielle, cilindri e pistoni, che roteano in tensiva ricerca della scintilla che prelude al canto di un motore da corsa, in quel “sussulto di presente | tra inerzia e impeto | per il “terzo” destinato: | assestarsi ad un procedere”, quella “Scintilla d’urto | fra la ragione e il nulla” da cui “scocca il mistero”.

In quell’”Ala in volo, volo resta anche ferma”, o parlando di scienza, “quel chiarore confuso | per farsi – potendo – raggio certo | è frastorno multivoco”, o parlando del poetare, “Anche parola che definisce | o canto che infinisce. Poesia”, o ancora parlando dei ricordi dell’adolescenza, che divengono “non più scosse da strambate d’umore”, percepiamo sintesi urgenti che mirano a stilettare le pareti, flessuose ma respingenti, del mistero della vita e del suo creatore, al quale si rivolge interrogativo e affermativo al contempo: “Ma pure per gorghi d’indecifrato | ci spingi al tuo mare”.

Con la progressiva conoscenza di uno stile che procede come la scandagliante linea di frontiera di un sonar , lasciando e lanciando segni vitali di quando in quando (in quanto ermetico e modernista, non necessariamente dovrebbe significare privo di note a piè di pagina), si acquisisce durante la lettura un senso di confidenza maggiore, rispetto alle diramazioni di pensiero così sincopate e stringenti, e si coglie un ritmo diverso che lega i singulti di stupore ad un respiro più ampio.

Così in Pensare solitudine, la protagonista emarginata e sostantivata, diviene “alone o punto vuoto” … “uno svettare, limpido | delle sue torri d’avorio | a squadro di paesaggi e fantasie”, “Oltre accadimenti, solo in alto | vigoreggia la sua stella. | Non cifra pronostici | raggia quaggiù, piena”, così pure comprendiamo appieno l’esplosione lirica dell’ Arcobaleno: “Raggiera d’impulsi puntuti | chissà come si assesta | a inarcarsi in parabola | oltre il cerchio dell’obbedienza ai giorni. | E’ corona d’ego, infine | ma pur la più splendida si oscura.”

Apice solingo la sua Penna in fatica, che citiamo per intero: “Tumulto di voci perse | frustra pulsione di parole. | Un parlacchiare d’irrisolti | smuove favilla senza vampa. | Ma penna in fatica | su fogli da tentare | traccia pure il peso dei suoi silenzi | nel solco tra il bianco delle righe | e come ne raddoppia | con il risalto l’ombre. | Questo di sé, soprattutto | conosce la poesia”, efficace e liberatorio, poi ancora nella sua semplicità dissonante dalla chiave di violino comune al resto delle liriche, in quel Ferragosto 2008, in cui il poeta era da tanto tempo che non allibiva dinanzi “a un tramonto | dimenticato così acceso”.

“Tra accidie e pulsioni | un pentagramma virtuale | ristretto ad unico rigo | conteso alla musica” è il santo Graal di Vinante, meta compositiva della sua ricerca estetica e semantica, mistura in cui “Entra soffio d’illimite | esce misura di finito | come domanda e risposta”, gioco e impegno di una vita spesa “tra veli opposti di sciacquio”, tra i quali “s’interpone sottilissima lamina | trasparente far credere e dubbio”.

Seguendo la “Brezza costante” del poeta che “memorie porta in volo” e “ala anche il peso”, consapevoli che “attirati alla stella, filo e ramo | possono issarsi antenna ardita | anche a spazi incogniti”, cerchiamo i nostri Assoluti esistenziali, “vitali | geminati d’ombra e luce”, sapendo quanto sia arduo “avvertire chi prevalga | come promessa d’armonie | o presagio di conflitti”, ignorando ma assaporando “se si versi in chiarombra di celesti”, rinfrancando lo spirito dalle fatiche della ricerca, abbeverandoci alla fonte di queste, rare ma preziose, “trasparenze versicolori”.
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