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Attraversandomi

il sasso nello stagno

La poesia di Angela Greco mi appare felicemente intuitiva, mossa e variegata, tesa a continue e sfaccettate scoperte e rivelazioni, con spunti creativi radicati in una realtà viva, vicina, impellente, ma, nel contempo, distante, eterea, sfumata (forse per una sorta di innata e delicata pudicizia, ed anche per una discrezione che si accontenta di toni pacati e quasi sussurrati), in un gioco di rimbalzi tra i due piani che dà vita a una interessante pluralità interpretativa.

Il linguaggio, raffinato e suasivo, raccolto e disposto in versi lunghi, svela un quotidiano assorto e problematico, dove gli eterni luoghi di Roma hanno funzione non solo “provocatoria”: infatti essi danno, sì, l’avvio e talvolta sorreggono il processo di scrittura poetica, ma si pongono anche come entità perenne e inevitabile termine di paragone. Ed evocano altresì l’idea del Tempo e poi, di conseguenza, quella della precarietà della vicenda umana con la quale i luoghi di Roma si intessono, “attraversandola”. Così accade ad Angela Greco e la sua esperienza della città eterna si salda a un’aspirazione di superamento del contingente; alimentata da una presenza umana -un tu- che costantemente agita i sentimenti, stimola alla riflessione e cospira alla realizzazione di un momento artistico che mirabilmente sintetizza e fissa l’urgenza dell’atto creativo.

Recensione
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