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Intorno a
La luna e gli spazzacamini di Roberta Degl'Innocenti
Venerdì 6 marzo
2009
Scandicci, Saloncino Unicoop
Rivolgiamoci
alle suggestioni e ai materiali d’un magico microcosmo in cui penetra Roberta
nel mondo fiabesco di questo suo libro “per grandi e piccini”, per definizione
dell’autrice stessa.
Di questo mondo
Roberta ha le chiavi attraverso la sua apprezzata poesia marcata da un canto che
coniuga la sua dolcezza di fondo corrispondentemente a una voglia di tenerezza
di rimando: né le preclude adito, a tale temperamento espressivo, la sua
narrativa, ricordando le “donne in fuga”, perché anche queste fiabe sono una
fuga: verso avventure giocose, animate come i cartoons Waltdisneyani, non in
avventure angosciosamente “a perdere” come nelle prospettive delle donne in
fuga. Resta un segnale chiaro e continuo della scrittura dell’autrice: la
facoltà e propensione a sciogliersi dagli ormeggi ancoranti alla materialità
esistenziale per un vasto, ricco territorio di divagazioni dove lei si realizza
straordinaria vagabonda e girovaga esploratrice del sogno ad occhi aperti.
Perché “per grandi e piccini”? La fiaba, anche quella celebrata dei grandi
autori classici da Andersen ai Grimm a Peter Pan ad Alice nel Paese delle
Meraviglie, ha coinvolto gli adulti non solo come bagaglio culturale che si
portano dall’infanzia, ma, con l’insorgenza della psicanalisi, anche per i
valori archetipici in essa contenuti: Cappuccetto rosso è tutta rivolta
all’iniziazione femminile nell’adolescenza, Peter Pan rappresenta il modello
dell’eterna giovinezza che si persegue nella nostra epoca ecc. ecc… ma la
“ricetta” tra virgolette di Roberta, le modalità, sono altre: Roberta ci
trasporta nel mondo ludico e incantato dei piccini che resiste come rimpianto in
fondo al desiderio dei grandi che si pongono anche questa domanda: cosa ci è
servito non adottare quella dimensione non metabolizzandola nell’età adulta?
Certamente a perdere molto. Quando ci accompagna nelle sue fiabe la
Degl’Innocenti, mediante gli affettuosi corsivi che inserisce, si avvicina, con
tecnica pedagogica, sia pure più leggera e fantasiosa-ironica-sorridente,
alle lettere ad Enrico del deamicisiano Cuore. Ci apre così il sipario sul suo
Robertaland e su i suoi personaggi, spiriti folletti, simpatiche fatucce
pasticcione, bimbi sognanti, orsetti, spazzacamini, zanzare ronzanti e
libellulina narcisista che stanno in bilico tra le figurine d’animazione e la
materializzazione soft e tangibile del peluche, come il coniglietto Virgola,
perciò si entra come in un negozio di giocattoli che fa balocco parlante anche
il sasso che ruzzola.
Quindi tutto ha un’anima, tutto con noi dialoga anche
senza prodigiosi meccanismi tecnologici all’interno ma con uno solo e
insostituibile: l’attenzione della nostra sensibilità a quanto ci circonda
guidati in tal senso dall’autrice. Nella conduzione della pagina della
Degl’Innocenti, l’approccio con il lettore, ricorda il modo di Rodari, instaura
però anche uno scenario onirico da coreografia da balletto di danza classica
come spesso di consuetudine si sono rappresentate le fiabe, né manca la
possibilità teatrale – cosa che Roberta ha già intuita e ultimamente realizzata
ripromettendosi anche altri futuri exploits. Cosa è, volutamente, dico io,
assente dalle fiabe di Roberta? La parte dolorosa – orrida delle fiabe:
l’assassino, per esempio, Barbablù che stipa le teste sanguinanti delle mogli
nel ripostiglio, la strega ferocemente cattiva che, permalosa, riduce in coma
per un secolo la bella addormentata nel bosco, o quella che rende muta la
Sirenetta di Andersen per donarle due belle gambe dolorose al posto della coda
di squame, la matrigna di Biancaneve con la sua crudele ossessione di uccidere
la figliastra.
Nel mondo di Robertaland sono categorie inammissibili, altrimenti
nel racconto non ci si ritempra come in una vacanza. C’è da notare che sono
stati mandati in pensione anche i principi azzurri e quella spasmodica attesa
delle fanciulle che li vedevano coronamento del loro esistere: le creature di
Roberta sono, in linea con la modernità attuale, esistenti a sé stanti, non con
finalità di realizzazioni che pongono fine alla fiaba: difatti come si era
tristi quando “Cenerentola”, sposava il principe “e vissero felici e contenti”.
Dov’era andata a scomparire la creatura sognante che aveva alleati una banda di
topolini e una madrina fata pazzerellona? Era andata nell’età adulta. Eccoci
qui: nell’ottimismo di fondo, dove Roberta si rifugia e salva, senza
l’angolazione scura del divenire che le dà ombra. Lo abbiamo avvertito nel suo
libro di novelle – non fiabe, nel delirio irrecuperabile delle “donne in fuga”,
con quanta ansia si sentiva scivolare di mano quelle vite dissolventesi
impossibili da trasportare in sorridenti teatrini. Che il libro sia per i
piccoli va da sé e va bene: con queste osservazioni che ho fatto mi sono
spiegata il perché vada bene anche per i grandi se sanno stare, nella lettura,
al passo con Roberta. Segnalo Trecciolina, elzeviro si sarebbe definito un
tempo, perché c’è dentro il segreto di quest’opera: si entra in un negozio di
giocattoli e la bambola ci parla, tutte le cose ci parlano, è nell’essenza di
questo libro, tutto diventa inno della vitalità dell’autrice, come autrice
vuole. Se non vado errata, solo un cerbiatto muore e solo Zelinda, la compagna
dell’orso Bruno e tutti e due per causa di fantomatici cacciatori: la realtà
adulta uccide l’idillio eppure è quella stessa che, al contrario, nell’antica
fiaba di Cappuccetto Rosso salvava la bambina e la nonna (il cacciatore); quello
anche che aveva pietà di Biancaneve uccidendo al suo posto un cerbiatto per
estrargli il cuore da portare alla matrigna. E’ quasi un’evoluzione etica, se
non una rivoluzione, nel distacco del tradizionale. La fiaba dell’orso Bruno
forse è stata il primo grano di questo rosario, costruita e ambientata nel
nevoso paesaggio invernale che l’ha ispirata: vi siete mai chiesti cosa vivono e
cosa sognano gli orsi durante il loro letargo?
Ecco, questa è la risposta: anche
se Roberta non è andata a precisare un confondersi di sogno e realtà. Del resto,
scientificamente è risaputo, che le orse partoriscono minuscoli cuccioli, che si
nutrono del loro latte, durante il letargo, pronti a sortire di terra con la
madre in primavera. La fuga – appena appena inquietante – ma poi aspirazione
felice – è presente anche in questo libro: prendiamo gli spazzacamini con il
loro desiderio di Luna, quella mamma “altra” della vita che conducono: l’utopia
luminosa resa efficace nel nero della quotidianità. Si potrà opinare che oggi,
quella degli spazzacamini, è una categoria di lavoratori che non esiste più (ci
vorrebbero ancora e, quando si trovano i pochi, pomposamente definiti fumisti,
grandi e grossi e palestrati, generalmente otturano per sbaglio la canna fumaria
anziché liberarla) tuttavia, grandi e piccini, li immaginiamo anche ora lì sui
tetti, tutti neri come gatti a contrasto dello specchio lunare. Ebbene c’è una
fuga verso l’entità Luna (quindi una situazione dolorosa di fatto che la
provoca) resa però positiva dall’utopia che ripaga. Altra fuga, ed altro
archetipo, dapprima non manifesti, troviamo nella pescatrice di conchiglie:
stavolta l’affascinante baratro che chiama non è più l’impero celeste, adesso è
il mare con i suoi abissi. Si ribalta nel racconto la storia della sirenetta che
voleva divenire donna: qui per la pescatrice di conchiglie, con un saporino
appena appena inquietante di resurrezione, è il trionfo è divenire sirena e
regina delle sirene. E in tema marino si dice che donare le perle, come tutte le
cose che vengono dalle profondità marine, può portare dolore e allora Roberta va
a immaginare una principessa di nome Perla, difficile al sorriso, che ha in dono
dagli gnomi suoi amici una chilometrica collana di perle, concatenazione dei
dolori simbolici, iniziatica per trovare quell’equilibrio che equivale al regno
della conoscenza.
La scrittura del
libro è pregevole per quei momenti in cui rivela – e sono costanti – l’agilità
acrobatica nell’uso della parola, propria ai poeti per intuizione.
Concordando con
Ruffilli nella valutazione dell’ironia pregio ampiamente diffuso e soffuso nelle
pagine di quest’opera, per addirittura divertirvi da sballo insieme a Roberta,
leggervi Margie e Fosforina e la disavventura della zanzara Freddy e, se è vero
che ridere fa buon sangue, torni in lode per la grande versatilità che, nelle
pagine di tutti i generi, l’autrice dimostra.
Gelici è un
illustratore d’eccezione, incontaminato dagli standard calligrafici giapponesi,
totalmente espressionista entra nella sua parte di pittore come un grande attore
che si faccia anima d’una commedia. Si può parlare per questo libro di una
maternità della Degl’Innocenti e di una paternità di Gelici.
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