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Tutta l’opera scarselliana aveva percorso negli anni l’odissea esistenziale in
alterego, come servendosi di un suo Golem pilotato in avamposto, come
esploratore in ricognizione degli eventi nella mirabolante avventura del
vissuto, nella fattispecie in disputa fra materialità ed etica: burattino retto
dai fili di un satiro (seppure con accorato ed accorto ghigno) quale può essere
i narratore Scarselli, determinato, lucido, eppure interlocutore partecipe della
suspence nelle vicende del suo grande progetto affabulatorio. Ora, invece,
metamorfosi: è momentaneamente accantonato il burattino scarselliano, quella
sorta di perpetuo metaforico Guerrin Meschino in cerca della propria origine e
della motivazione e destinazione finale dell’esistere o forse alla ricerca di
una “serendipity”; il Golem che Veniero aveva alzato per indagare la Sfinge
della Vita e della Morte, cede l’indagine e il ruolo alle moltitudini d’una
immaginaria quanto fantascientifica sequela evolutiva di un darwinismo
scarselliano, di passaggio in passaggio digital-computeristico sempre high-tech.
Il computer è il nuovo tentatore Asmodeo dell’uomo del Duemila e gli reca il
frutto proibito del virtuale: sfuggendo o tornando al mito del crezionismo?
Forse torna nello stesso blasfemo, trasgressivo desiderio primordiale di
acquisire la Conoscenza, autonoma da divini tabù, eppure indirizzata a
divinizzarsi in una propria nuova visione.
Impossibile per il nostro immaginoso Poeta
resistere alla voluttà di tali insinuanti tentazioni del
fantastico-parascientifico? Allora, reset! Rifacciamo tutta da capo la storia
della Creazione accaduta e accadente; niente più Golem, ma l’indagine permane
ripartendo paradigmatica dalla radice del Bene e del Male, leitmotiv di Vita e
causa di Morte. Si ricapitola una sorta di Genesi (giostrando abilmente con i
classici): nelle intenzioni del Creatore, o del Caso, tutto doveva essere
assolutamente puro e inestinguibile, ma l’esistenza del fenomeno entropico ha
portato adulterazione da maligne infiltrazioni. Da qui parte il Poeta
coinvolgendo Big-Bang e Materia Oscura, cloni e cellule staminali,
programmazioni e software. Si torna quindi all’inizio dei tempi pregustando già
in questa storia il satireggiare del Poeta nei successivi passaggi evolutivi. In
varie altre occasioni l’Autore aveva magistralmente satireggiato se guardiamo
oltre l’opera presente nella panoramica dei diversi suoi percorsi: aveva
satireggiato l’erotismo a fronte e a verso, e perfino il suo pellegrinaggio al
Monte Athos (vedi Eretiche grida) pur ponendovi all’interno la tesi del
mistero “disvelato nel non disvelarsi” col raggiungimento della vetta, traguardo
di un Dio che spazia in un tutto-niente.
Ora, mente e cuore
disincantati ormai dal Duemila fino al sarcasmo e allo scetticismo, nel
Trionfo delle anime artificiali, l’Autore, monologando, discetta amabilmente
col lettore nella più agile dialettica che ci abbia regalato su pagina: difatti
è scrittura, ma realmente la avverti come esemplare, allocutorio intreccio
verbale inarrestabile nel divertissement che ci trascina di lassa in lassa lungo
un filo cabarettistico. Scarselli infatti, una volta individuata, non trascura
la golosa materia di riflessione, da poter sciogliere e rimestare nel crogiolo
alchemico di questo suo poema che per la prima volta ospita lo stuzzicante
ingrediente informatico mixato alle sue cognizioni di biologo, una griffe
inconfondibile e, nel tempo, ancora più graffiante e mirata; lasse come vignette
con sfumate caricature di tutti e tutto: vedi il mito della Genesi, l’amplesso
fra i due sessi, la costituzione stessa dell’Homo Sapiens, i relativi suoi
valori etici, la coniugalità, il buonismo, i nidi d’infanzia, le aspirazioni
metafisiche, le saccenterie scientifiche e filosofiche, le possibilità affidate
al computer..., niente può sottrarsi ai suoi strali? No, no! Bensì al suo
lasciarsi andare al gioco, ancora ludico-barocco, finché anche questa
ri-creazione digitale non subisce nel prodotto creato la stessa sorte
degenerativa della materia vivente e umana, ma, diversamente da quella,
sprigiona la “radiazione elettromagnetica della coscienza” che è sbocciata al
fulgore del sole. E’ qui che il Poeta si abbandona alla commozione per la
nascita di quest’anima sintetica, per questa sua ideazione utopica così bene
messa a punto: cade la maschera sarcastica, il gioco si trasforma nell’amore
sconfinato del cartoonista Pigmalione per i cartoons che ha disegnato, e del
Poeta per dove la sua grande creatività poematica lo ha portato e ci ha portato:
tutto diventa vibrante, bellissimo, e, per ossimoro, vero e fiabesco come in un
film di Disney. Allora il cosmo apparirà popolato / da mille lucciole
pulsanti e pensanti: proprio come sulla copertina con l’opera di Carlo Cioni,
quella immagine aperta alle intuizioni, come in vitro (di Murano), disposte in
convergenza verso il foro centrale d’una sorta di cristallina fetta di ananas,
che qui rappresenta, nella sua interminabile circolarità, il segno
dell’Infinito: luce verso la luce, energia verso energia. Così in quest’opera
scarselliana l’uomo si è risolto, questa è la sua offerta. Gli atomi
risplendenti, finalmente comparabili all’Eterno, non tramortiranno nella
contemplazione dello splendore divino e – la speranza se lo augura – nei più
lontani futuri, miracolo ricorrente nelle creazioni a venire. O il Poeta
ritornerà nella sua officina alchemica per elucubrare nuove poematiche ipotesi? | |
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Recensione |
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