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La poesia negli Stati Uniti d'America

6 - Per non dimenticare: Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882)

Le antologie più moderne non ne parlano addirittura. Si intende che, nel confronto, il più famoso ‘bramino’ di Boston non regge bene quando i suoi allora sconosciuti contemporanei Walt Whitman o Emily Dickinson, straordinari per intensità poetica e per capacità innovativa, vengano evocati. Tuttavia ci pare che, avendo riempito il secolo della sua fama da una parte e dall’altra dell’Atlantico, ed essendo stato senza dubbio assai rappresentativo di quei valori tipicamente americani che formano tuttora la struttura portante di una vasta classe media, da un punto di vista etico ed emotivo, una rassegna di poesia staatunitense non sarebbe in sé completa senza una pagina a lui dedicata. Del resto, a livello di lettore medio, Longfellow è tutt’altro che dimenticato: lo si ritrova nei libri di lettura della primary come della high school; e si può ancora trovare qualche bellissimo album di sue composizioni, in carta patinata e illustrato da significative vedute del Nuovo Mondo: oggetto da regalo che qualunque persona di cultura non potrebbe non apprezzare.

E’ probabile che oggi,in tempi di populismo e terzomondismo a oltranza, militi contro di lui, nella memoria dei posteri, anche la sua nascita ‘alta’: nacque a Portland, Mass. Da un padre di professione giudice nonché deputato al Congresso nazionale. La madre apparteneva a un’antica famiglia del New England. Crebbe in un ambiente più che favorito sia in senso economico che letterario. Al College di Bowdoin ebbe compagno Nathaniel Hawthorne. Subito dopo essersi diplomato, gli fu offerta una cattedra come professore di Lingue Moderne: domandò di potersi assentare per tre anni per viaggiare in Europa, dopo di che avrebbe accettato. Da Bowdoin, dove si mostrò assai coscienzioso nella sua attività di docente, scrivendo pure vari libri di testo e articoli di rivista sulle letterature europee, passò a Harvard: non prima di avere chiesto un ulteriore anno di permesso per un altro viaggio oltreatlantico. Nel 1839 pubblicò un romance, o romanzo fantastico, Hyperion e un primo volume di liriche, Voci della notte, il quale ebbe immediato successo e segnò l’inizio di una serie di altri lavori in versi, fra cui spiccano il dramma Lo studente spagnolo (1843), Il canto di Hiawatha (1855) ispirato all’ambiente e agli indiani d’America e Il corteggiamento di Miles Standish (1858). In particolare gli ultimi due incontravano così perfettamente il gusto e le aspettative della borghesia colta dell’epoca che divennero dei best seller: per la precisione, il secondo vendette 10.000 copie a Londra il giorno stesso della sua apparizione nelle librerie e 25.000 copie in America durante la prima settimana. Nel frattempo l’autore aveva abbandonato l’insegnamento universitario per meglio dedicarsi all’attività creativa. Non altrettanto fortunato fu, invece, nella vita privata, giacché rimase vedovo due volte, e prematuramente. Fu dopo la tragica morte della seconda moglie che si dedicò più intensamente a tradurre dalle lingue europee a lui note, fra cui l’italiano: la sua versione della Divina Commedia, preziosa per l’America ma anche per noi, uscì fra il 1865 e il 1867 in tre volumi.

Fin qui, si dirà, i dati anagrafici o poco di più. Colto, anzi coltissimo, morale ma tutt’altro che privo di un suo piacevole grado di umorismo, grande artigiano del verso ma tendenzialmente didattico, aveva il pregio di una spontanea musicalità. Un Tennyson americano: ma più sincero nel suo entusiasmo, anche patriottico. Coinvolgente nel suo entusiasmo. Valeva la pena di prendere in considerazione quel personaggio davvero raro che è un poeta americano di successo: la sua esistenza fu un ininterrotto cursus honorum. E’ stato osservato che, fino al tempo di Sinclair Lewis e poi di Ernest Hemingway, fu lo scrittore statunitense più celebre e influente all’estero.

Rimangono facilmente nell’orecchio di chiunque li abbia letti i versi di “Salmo di vita”:

Tell me not, in mournful numbers,
            Life is but an empty dream! –
For the soul is dead that slumbers,
            And things are not what they seem.

(Non dirmi, in tristi versi | esser la vita solo un sogno vuoto! | L’anima che sonnecchia è morta | e le cose non sono ciò che sembrano).

Nelle strofe seguenti, sembra oggi di leggere una sorta di codice di comportamento che non pare sia ancora andato perduto almeno per una vasta silent majority di giovani americani, alla luce di recenti reazioni di fronte a pericoli considerevoli o perfino storicamente eccezionali:

Not enjoyment, and not sorrow,
            Is our destined end or way;
But to act, that each to-morrow
            Find us farther than to-day.
. . .
In the world’s broad field of battle,
            In the bivouac of Life,
Be not like dumb, driven cattle!
            Be the hero in the strife!
. . .

(Non la gioia né il dolore | sono nostro fine o destino | ma l’azione, perché ogni domani | ci trovi più oltre del giorno prima. . . . || Nel gran campo di battaglia del mondo, | nel bivacco che è la vita | non essere passivo nella mandria | sii l’eroe nella lotta!)

C’è qualcosa che preannuncia Kipling, autore a lui decisamente superiore, ma capace di condividere, fra Otto e Novecento, la stessa concezione della condizione umana come sforzo di incessante superamento di sé per il bene ultimo dell’intera umanità: di questo faceva parte, per lo scrittore inglese quel white man’s burden (il fardello dell’uomo bianco in quanto civilizzatore di nazioni meno progredite) che è stato fin troppo deprecato in nome di un ‘pensiero debole’ il cui merito lasciamo all’intellettualità di sinistra.

Assai citati, e soprattutto l’ultimo distico che fa’ da réfrain alla fine di ogni strofa, i versi della lunga composizione My lost youth, La mia perduta giovinezza):

Often I think of the beautiful town
            That is seated by the sea;
Often in thought go up and down
The pleasant streets of that dear old town,
            And my youth comes back to me.
            And a verse of a Lapland song
            Is haunting my memory still:
            ‘A boy’s will is the wind’s will,
And the thoughts of youth are long, long thoughts.’

( Sovente penso alla bella cittadina | assisa accanto al mare; | sovente percorro col pensiero | le piacevoli vie del caro vecchio luogo, | e torna a me la giovinezza. | E il verso di un canto lappone | ancora mi pervade la memoria: | ‘ Volontà di fanciullo è volontà di vento, | e i pensieri della giovinezza sono lunghi, lunghi pensieri’)

Segue poi una minuta, intenerita evocazione di aspetti specifici, situazioni e personaggi. Se vogliamo concludere con alcunché di sicuramente condivisibile possiamo citare il sonetto Chaucer: non esente da sentimentalità, unisce tuttavia alla sapienza dell’erudito l’umanità dell’ispirazione:

An old man in a lodge within a park;
The chamber walls depicted all around
With portraitures of huntsman, hawk and hound,
And the hurt deer: He listened to the lark,
            Whose song comes with the sunshine through the dark
            Of painted glass in leaden lattice bound;
            He listeneth and he laugheth at the sound,
            Then writeth in a book like any clerk.
He is the poet of the dawn, who wrote
The Canterbury Tales, and his old age
Made beautiful with song; . . .

(Un vecchio in una casa dentro un parco; | le pareti dipinte tutt’intorno | con ritratti di cacciatori, falchi e cani, | e cervi feriti. Lui ascolta l’allodola, | il cui canto arriva col sole attraverso il buio | di vetri colorati legati da un reticolo di stagno; | ascolta e ride a quel suono, | poi scrive in un libro come un qualsiasi impiegato. | Lui è il poeta dell’aurora, che scrisse | I racconti di Canterbury e la sua vecchiaia | fece bella col canto; . . .)


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