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La morte è il grande scandalo e produce la più profonda delle
angosce.
Da sempre l'uomo, non potendo sconfiggerla, ha cercato di
rimuoverla, di esorcizzarla e di gestirla con un complesso di elaborazioni del
lutto, che va dagli aspetti religiosi a quelli psicologici, da modelli culturali
agli aspetti pratici. Nelle società affluenti moderne, poi, che basano tutta la
loro impalcatura strutturale ed il loro immaginario collettivo sul modello della
risposta ad ogni bisogno, la grande ladra appare vieppiù un insulto
incomprensibile ed intollerabile. Non a caso stanno sorgendo industrie sempre
più raffinate per la gestione del caro estinto, con tanto di imbellettamenti e
di ceroni da teatro. Con tanto di deodoranti, perché la puzza della morte non
abbia a scalfire nessuno dei nostri meccanismi di rimozione che l'hanno esclusa
dalla nostra falsa coscienza quotidiana. Non a caso sono stati elaborati
processi di allontanamento dei morti dalle nostre case, di decarnalizzazione e
dematerializzazione degli aspetti più tangibili della morte. E si è proceduto
all'appiattimento di essa sulle due dimensioni dello schermo TV, così da
renderla più simile ad un film spettacolare e violento che, per quanto
partecipato emotivamente, si sta a guardare dalla poltrona. separati e difesi
dal diaframma di vetro, che non ad un'esperienza di vita.
Ebbene, Veniero Scarselli fa esattamente il contrario. La sua poesia
rimaterializza la carnalità della morte, la sua presenza ingombrante. Al
capezzale della madre morente, inizia un doloroso e dolente diario che nulla
cancella e nulla tralascia di quei minuti particolari, di quelle sensazioni e di
quei pensieri che affollano e dilatano le veglie finali: tutto è registrato in
questo poema, denso di parole, potente e rapido nelle immagini (Anche oggi, che
piove senza sosta | ovunque dolorosamente sulle colline | e s'annunzia straziante di neve
| il male misterioso
dell'inverno | ... ), che fa rivivere il nostro rapporto con la morte.
Attraversata dal complesso archetipo che ci lega all'utero materno, l'opera
compone i suoi tasselli di quarantuno stanze in un affresco poetico di alta
intensità umana edemotiva. Nessuna via di fuga ci viene lasciata: la morte ci
attende come un macigno sulla via, è inchiodata nel nostro sangue e reclama una
risposta: (Il processo della morte è compiuto. | Tutto è stato disfatto,
abbattuto. | Anche l'anima certo s'è smarrita | nei penosi labirinti
dell'esilio; | forse s'è arenata sulla spiaggia | inospitale e sconosciuta dell'uni verso
| e
s'è spanta come un grigio delfino | sfortunato coperto di mosche. | Forse non
sarà così difficile | calare in una bara e in una buca | senza neanche più
toccarla né vederla | questa Cosa che un giorno fu la Mamma; | ... ).
Alla fine si esce dalla lettura con la sensazione di aver
affrontato un lungo viaggio. Quel lungo viaggio che qualcuno ancora attende e
altri hanno già vissuto con la morte dei propri cari. lo sto per accingermi a
farlo. per questo il libro avrà un posto di riguardo sul mio comodino.
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Recensione |
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