| |
El nievegare de la
luna
Prose in léngôa vèneta e la comedia: Tuto in faméja
C’è un
proverbio che dice: “Il giorno è il padre dei mestieri, la notte è la madre dei
pensieri”.
E con questo
detto mi collego all’ultima opera dello scrittore Gianni Sparapan, partendo
dall’ultimo racconto del libro, che ne porta il titolo, in cui l’autore, in una
notte insonne, si perde tra i meandri della mente in pensieri filosofici che
diventano sempre più grevi, pesanti mentre invece la luna indifferente continua
a percorrere il suo ciclo, illuminando la terra nel suo viaggio errabondo.
È un libro
piacevolissimo, questo di Gianni Sparapan, come del resto tutti gli altri suoi;
si tratta di una raccolta di racconti familiari, fatti appunto “tuto in
faméja”, incentrati sul vivere quotidiano intorno alle persone che lo
circondano, a lui più care. Ne escono descrizioni talmente calzanti, ironiche a
volte, così pittoresche e dettagliate, così veritiere e fatte a pennello, com’è
nel caratteristico stile di questo scrittore. Alla fine si è così vicini ai
personaggi descritti che pare di averli accanto, in carne ed ossa.
Scritto nella
lingua del Medio Polesine, valorizza la parlata tipica della gente che vive
attorno al Canalbianco, un linguaggio così musicale, così schietto e genuino; un
esempio? La parola ignonde (dove), a cui segue sempre una spiegazione
casalinga, familiare; basta dare una scorsa ai titoli delle cinque sezioni per
rendersene conto: La zente, Recitare, Tuto in faméja, Ricordare, Criticare,
Canpare.
Non c’è
prefazione, se non una simpatica precisazione in quarta di copertina. Il libro
riporta però una dedica che, da sola, dice tutto: A Edoardo, el me neodeto
nato da puòco, ca no ghe n’è de più bèj al mondo.
| |
|
Recensione |
|