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Il silenzio dell'amore

Amore dell'amore e presagio di sventura nella poesia di Anna Achmatova

Edito nel 2014 da Biblioteca dei Leoni Il silenzio dell’amore è una crestomazia delle poesie di Anna Andreevna Achmatova (Odessa 1889- Domodedovo 1966), ovvero di Anna Andreevna Gorenko, cognome anagrafico da lei abbandonato, dietro suggerimento del padre, quando decise di pubblicare la prima opera dove iniziò ad adottare quello della bisnonna materna.

Ne Il silenzio dell’anima sono raccolte poesie scelte dalle sillogi Sera, Stormo bianco, Piantaggine, Anno Domini MCMXXI, Requiem, Il giunco, Elegie del nord, La corsa del tempo. Un iter poetico che dal 1909 giunge sino al 1962 con la poesia L’ultima rosa (p.122) dove si avverte tutta la fatica del vivere della Achmatova, la sua stanchezza, ma insieme ancora l’attaccamento alla vita: “Prenditi tutto, ma di questa rosa scarlatta / lascia ch’io senta ancora la freschezza”. E’ stanca di “risorgere, e morire, e vivere”. A ben ragione stanca: l’ex marito Nikolaj Gumilëv fondatore dell’Acmeismo fucilato dai Bolscevichi nel 1921; l’unico figlio Lev condannato a morte e, dietro sue suppliche, deportato; il lungo silenzio poetico e poi, nel 1944, dopo la sua riapparizione col nuovo volume di versi, la condanna da parte del Comitato Centrale delle riviste che l’avevano accolta, il bando dell’opera e la proscrizione del suo nome, della sua poesia considerata “senza fondo, estranea al popolo”. Ritornerà a far parlare di sé, ma intanto c’è anche il tempo che tutto trasforma e della bellezza – per essa il giovane Gumilëv, innamoratissimo, tentò il suicidio – lascia appena un’ombra. Vari artisti vollero ritrarre l’Achmatova, altissima e dai fascinosi occhi grigi, al nostro Modigliani bastarono brevi tratti a rendere in diversi ritratti, per la gran parte persi, l’immagine della poetessa, come possiamo osservare in copertina.

Nel libro rileviamo in felice combinazione traduzione e saggio introduttivo, l’opportuna resa in altra lingua della parola poetica (operazione non semplice) e un intelligere la stessa con la disposizione di mente e cuore che solo un altro poeta possiede. Paolo Ruffilli e Manuela Giabardo sono di questa antologia curatori attenti a cogliere l’anima della poetessa russa innamorata dell’amore, la sua continua ricerca, l’ispirazione che non deriva da teorico pensiero ma dalle forme quotidiane di esaltazione e prostrazione, di dono e tradimento. Potremmo dire che i versi sgorgano con “la naturalezza – riprendiamo la definizione di poesia data da Keats – delle foglie verdi sugli alberi”. Situazioni, momenti di vita vengono immortalati nell’attimo: “In affanno ho gridato:Scherzavo, dai. / E’ stato tutto uno scherzo. Muoio se te ne vai. / Con un sorriso freddo mi ha risposto / tranquillo: Non startene lì al vento.” (p. 50) Nature diverse l’uomo e la donna, e balenano in pochi versi, come in questi altri: “Vivo come il cucù dell’orologio, / non invidio gli uccelli del bosco tuttavia. / Mi danno carica e io faccio cucù. / Però, lo sai che a un nemico soltanto / un tale destino augurerei”(p.56).

Ma in esergo al Saggio introduttivo leggiamo: “Non sotto un cielo estraneo, / né al riparo di un’ala straniera: / io ero allora con il mio popolo, / là dove, per sventura, il mio popolo era”. Giustamente si è voluto, dando rilievo a questi versi, evidenziare che l’Achmatova non canta solo l’intimistico sentire, anche l’amore per la terra di Russia e il suo popolo, di cui pianse le sventure. Con esso volle soffrire, non ascoltò la voce che la esortava ad andar via dal “sordo e peccatore” suo paese: “…ho chiuso le mie orecchie a quella voce / perché le sue parole indegne / non profanassero il mio spirito dolente”. (p.110)

Visse l’Achmatova tempi di tragedie e dolore, la portarono ad accostarsi “a una lira pietrificata per l’eterno”, a chiudere piangendo “al migliore dei giovani… gli occhi d’aquila” (p.111). Per sopravvivere e percepire “il caldo stormire dell’estate” dice che ha molto da fare: “c’è da uccidere la memoria sino in fondo / c’è da mutare l’anima in sasso / c’è da imparare a vivere di nuovo”. (p. 115) Non può vivere, solo sopravvivere, dato che, anche dopo la morte di Stalin cui aveva indirizzato delle poesie per amore del figlio, non venne del tutto riabilitata poiché annunciava ancora apertamente il suo pensiero negativo sui poeti del realismo socialista.

De Il silenzio dell’amore non va trascurata la lettura delle pagine introduttive: delucidano l’iter poetico e umano di Anna Achmatova, una delle più note poetesse russe. Per la sua concezione delle persone come monadi chiuse (“presso ad ogni creatura c’è segnata / una linea che dato di varcare / non è né alla passione né all’amore) Renato Poggioli (“Il fiore del verso russo”, Oscar Mondadori 1968, p.115) l’accosta ad “una Emily Dickinson priva d’inibizioni e d’intellettualismo puritano, nutrita d’esperienza più che di saggezza”.

Recensione
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