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La stanza alta dell'attesa tra mito e storia
Cenacolo di Poesia 13.02.2020
Sotto i portici di Padova
Leggere l’opera di Marisa mi ha riportata sotto i portici della vecchia Padova
quando io, bambina di origini vicentine, li percorrevo ogni giorno con la fida
amica Olimpia per andare a scuola, prima al Pascoli, poi al Tito Livio e infine
al Liviano. E le vetuste volte risuonavano delle nostre risate, delle nostre
voci argentine, dimenticandoci per un attimo di quei libri, di quei vocabolari
che ci portavamo sotto braccio, quasi abbracciate ad essi, legati insieme da
cinghie di vario tipo.
E spesso ci chiedevamo cosa ci avrebbe riservato il futuro restando in attesa di
chissà quali eventi sorprendenti che avrebbero determinato la nostra esistenza
adulta, non pensando che la stavamo costruendo allora attraverso la nostra
amicizia, le nostre famiglie, gli amici, gli studi, il nostro andare sotto i
portici ammirando, anche se superficialmente allora, il nostro Prato, le cupole
di Santa Giustina, i torricini-minareto del Santo. Si avverava quanto Marisa in
poesia recita: ”L’infanzia è alveare di cuore-mente / tutto il nettare aspira
di ogni fiore per stagioni altre…”; ”Qui le radici di un vivere altro”.
Sognavamo il nostro avvenire di continuo, protese verso di esso, in un mare di
vagheggiamenti vorticosi attendendo fiduciose il suo sbocciare: ”L’attesa è
il ritmo che cadenza la vita e della natura e dell’uomo”.
Non posso che essere d’accordo con questo concetto espresso anche dal grande
Leopardi che vede nell’attesa uno dei momenti più felici e costruttivi della
vita; non importa se quello che si attende sia un evento di piccola o grande
entità, significante è il sentimento che l’attesa ingenera nell’animo umano:
”L’attesa è sentiero-percorso vita / che si allarga in radure di germogli / si
restringe in strettoie di rinunce / inconscio esercizio di accettazione / poi
cifra del proprio vivere / …”
Contemporaneamente la lettura di quest’opera ha riacceso in me il ricordo vivo
di certe realtà-presenza-silente nella mia memoria ma rifiorite grazie alle
parole di Marisa. Posso elencarne alcune: l’immagine sacra che troneggiava sopra
la testata del letto dei miei genitori, composizione in ceramica su tavola di
legno di una Madonna con Bambino ( che conservo in soffitta sempre in attesa di
restauro ); il lettone genitoriale sul quale sono nata “ove si compie il rito
dell’amore… della vita e della morte”; la creazione del grande ed elaborato
Presepe da parte di mio padre; la visita ai Presepi delle varie chiese; la
recita delle poesie natalizie da parte di noi fratelli e dei cugini sopra una
sedia durante una festa di parenti gioiosi; i negozi di caramelle e liquerizie
acquistati per 5 10 lire; i soggiorni di vacanza presso zie o nonni; la ricerca
di scampoli di stoffa preziosi per far confezionare dalla sarta capi su misura;
i giochi in Patronato e la frequentazione dell’Azione Cattolica e della
dottrina. E mi fermo qui perché potrei continuare a lungo!
Un cenno a parte merita il ricordo suscitato in me dalla poesia intitolata
L’abito di San Gallo: ho rivisto l’abito bianco, lungo, con velo e coroncina
tra i capelli, come una sposa-bambina, che indossai per la prima Comunione e che
passò alle mie cugine di Valdobbiadene avendo io dopo di me, in quegli anni,
solo fratelli maschi e immortalato da molteplici fotografie mie e delle cugine:
“Quello fu l’abito di famiglia / più gettonato da sorelle cugine ed altre. /”
Insomma quante reminiscenze di situazioni, di luoghi, di persone hanno evocato
in me le pagine di Marisa! E quante emozioni! Sicuramente tempi diversi da oggi,
eravamo nel periodo postbellico, di ricostruzione e noi bambini e giovani
eravamo anime semplici, ingenue, genuine che credevano nei miracoli!
E un miracolo è accaduto perché questo libro scritto da Marisa è diventato mio e
mi ha consentito di recuperare alcuni momenti del mio passato! Merito della
sensibilità poetica di Marisa!
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Recensione |
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