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La vita fa rumore
“Prefato ottimamente
da Giuseppe Panella, che parla di una poesia che “si distende tra i due poli (a
lui consueti) del pathos duro e veemente della partecipazione e dell’ironica
verifica degli stilemi di un passato divenuto eterno nell’immaginario
collettivo”e illustrato da otto disegni di Enrico Guerrini, questa recente libro
di versi di Roberto Mosi dal titolo La vita fu rumore (Edizioni
Minotaurus, 2014) in una trentina di testi elabora un vastissimo excursus,
una ricchissima indagine su varie attività lavorative, dalle trecciaiole ai
lavavetri, dalla raccolta delle arance a quella dei pomodori, da una vita da
ferroviere all’impiegato delle pompe funebri, dalla guida turistica al dramma
dei migranti, dall’infermiera presso il manicomio alla pulizia a bordo del treno
Alta Velocità, dal lavoro del pittore a quello del poeta, e così via . Il libro
(che porta il sottotitolo “Noi viviamo di lavoro”) è dedicato “A Firenze
e ai suoi giovani che stanno cercando il lavoro”.
L’occasione del
titolo è data da quanto appare nell’immagine di copertina: persone presenti in
una manifestazione, uno dei quali inalbera un cartello con su scritto, appunto,
“La via fa rumore”. Il riferimento è alla imposizione di chiudere la
Libreria Café LaCité di Firenze dalle sette di sera alle nove del mattino,
per salvare la “pubblica quiete”. Mosi scrive: “…si va in corteo, si parla/
dell’essere alla città dell’avere (…)// Urla sempre più alte: ‘La vita fa
rumore!’/ Il corteo avanza,/ Santo Spirito: ‘La piazza/ del degrado dove si
vive’,/ ironia dell’altoparlante(…)”.
Da qui, da questo
“incipit” il libro prende le mosse ed enuncia (ed insieme denuncia)
una lunga serie di problemi legati al lavoro che c’è (e spesso è terribilmente
duro, faticoso) oppure manca, latita, si perde, facendo perdere dignità, decoro,
vita a chi lo deteneva, a quanti operavano in varie e di frequente drammatiche
mansioni. Si legga: “Oltre la rete avanzano/ ceste verdi di plastica,/ all’opera
mani di genti/ giunte dall’Africa, donne/uomini chini al lavoro” (da “Raccolta
di pomodori”); “ Eri infermiera a San Salvi, al manicomio.// Le tue parole
incrociano/ storie di donne legate/ alle corde dei letti,/ la cura di gelide
docce” (da “Infermiera al manicomio”); e ancora: “Luci azzurre nei corridoi/
fasciano il silenzio delle stanze.(…)/ Attraverso reparti seguo tracce di
storie/ che qui hanno visto la fine.(…)// Intreccio il filo delle storie/ per
orientarmi/ nel labirinto della notte” (da “Ospedale”).
La conclusione del
libro di Mosi è, dunque, questo amplissimo “variegarsi” della vita di tutti noi,
di ognuno di noi, nella fatica e nel dolore, ma anche – talvolta –
fortunosamente, fortunatamente, in un lavoro d’arte, nell’opera creativa, in
questa del poeta, dell’autore stesso, che così del proprio lavoro scrive: “Leggo
e rileggo/ i versi, ascolto/ la mia voce, (…)/ comunico il tutto,/ comunico il
niente” (da “Il lavoro del poeta”).
Grazie, caro amico
Roberto, per questa tua viva testimonianza umana e poetica, e per aver fatto
riferimento al fascicolo della nostra rivista “L’area di Broca” dedicato al tema
“LAVORO”.
Un grande augurio e
saluto da, Mariella Bettarini “
Novembre 2015
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Recensione |
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