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Viaggio incolume
Il Verbo di Tomaso Pieragnolo
Tomaso Pieragnolo è
certamente un autore che si caratterizza per la sua particolare forma
espressiva. La sua poetica è il frutto di una cultura cosmopolita, che nel canto
trova una sintesi particolarmente suggestiva. Partito per la Costa Rica, per
ragioni di ricerca scientifica, l’esperienza vissuta nel folto di una natura
totalizzante lo ha, come il poeta stesso scrive, profondamente influenzato nella
vita e nella scrittura. In un’intervista pubblicata in Poesia dei nostri
tempi afferma: “A partire dagli anni Novanta, l’esperienza di lavorare a
diversi progetti ambientali mi pose in contatto quotidiano con la fauna
selvaggia e una vastità di territori incontaminati, un universo di bestie
madri, come scrivo in una poesia, che ogni giorno ricreavano il
mondo”. Il contatto diretto con un ambiente ancora integro, in una dimensione
quasi creaturale, ha fatto scaturire nell’animo del poeta quesiti e
problematiche nuove, concernenti il rapporto tra l’uomo e l’habitat.
Ricca di suggestioni, la
raccolta L’oceano e altri giorni apre ad un mondo lontano dal nostro, di
territori dove la natura regna incontrastata. Quasi inconsciamente la forza di
relazione con la vegetazione, in una sorta di metamorfosi, induce l’autore a
sentirsi parte integrante della stessa. Scrive nella lirica Due alberi
rivolto alla compagna della sua vita: “forse noi fummo solo due alberi, /
disordinati dai colpi del vento, / fortificati da solitudini, / cresciuti
solamente insieme / per morire e continuare a vivere / ogni giorno.” Il lessico di
questo libro è ricercato e la cadenza metrica musicale: le frasi si susseguono
sempre con eleganza evocativa.
La ricerca costante di un
proprio discorso poetico, che lo distinguesse da precedenti modelli, ha indotto
il poeta successivamente a ricercare un linguaggio sempre più articolato, capace
di tradursi in un ritmo incalzante, talvolta torrentizio, dove ogni parola, con
il proprio significato semantico, costituisse un elemento essenziale del
discorso.
Se nella prima raccolta,
scaturita a contatto con una diversa realtà, Tomaso Pieragnolo ha voluto
descrivere e decifrare l’incantamento innanzi ad una natura immaginifica e
temibile, nel secondo libro, nato sempre dall’esperienza costaricana, intitolato
Nuovomondo (ed
Passigli, Firenze 2010),
egli si è concentrato su riflessioni esistenziali e antropologiche, concernenti
la pressante minaccia costituita dall’ansia speculativa e distruttiva dell’uomo
nei confronti della madre terra; ne è nato così un poema immaginario, ma
realistico, riguardante le vicende dell’uomo dai suoi albori. La natura
poematica della raccolta è di estrema densità concettuale, lontana da ogni
minimalismo, concretantesi attraverso un inarrestabile flusso di immagini, rese
con un lessico estremamente ricco e vario nelle sue possibili declinazioni.
Ricorre spesso, infatti, nella poesia di Pieragnolo il termine logos, in quanto
la parola per il Nostro ha una valenza rivelatrice e creatrice al contempo.
Con essa si incide profondamente
sulla consapevolezza della vita stessa ed il suo studio quotidiano, nell’ambito
di una selezione lessicale, apre spazi cognitivi nuovi.
Tale costante ed
attento approfondimento semantico è continuato anche nell’ultimo libro
Viaggio incolume,
che chiude, assieme ai due precedenti, un’ideale trilogia scaturita
dall’esperienza costaricana. In questa raccolta l’autore ci parla di un viaggio
visionario e onirico, ricco di interrogativi e di immagini e di un dialogo
ininterrotto tra un lui (l’io narrante) ed una lei , che s’interrogano sul
futuro ed il passato, legati da un intenso rapporto d’amore: “Io canto nel tuo
nome perché tu / da un luogo lontano tu mi senta richiamare /– evoca lui nell’occaso
ammarato – perché giunga / alla tua bocca questa goccia e una sete pendente / ci
racconti il vecchio mondo, la terra….” Ė una
relazione di vicinanza e di
distacco, di parole e di silenzio, pervasa da un profondo vitalismo sensuale.
La donna è colei che completa con la sua presenza-assenza lo spazio lirico e a
tratti è corporea e carnale, ma soprattutto rappresenta la forza primaria
della vita e dell’esistenza stessa.
Il fulcro d’interesse della sua attività, per Tommaso Pieragnolo, è dunque la
ricerca di un linguaggio esclusivo, che talvolta può risultare di non facile
comprensione alla lettura. Le parole si susseguono rapide, concatenate da una
ricerca semantica e fonica precisa, che si realizza in ardite architetture.
Gualtiero De Santi scrive recensendo Viaggio Incolume: “Armata dal
proprio impeto, la scrittura diviene incandescente e ventosa, prorompente e
libera. Qualcosa che ricerca in questa totalità che si trova a fronte e che
tratteggia le coincidenze possibili dell’esistenza”. L’autore stesso precisa che
la scrittura è per lui è come uno spazio fermentante nella ricerca dell’unità
delle esistenze. Nel verbo pieragnoliano, così ricercato, è quindi da
riscontrare una notevole forza di immaginazione e una fede visionaria nello
stesso, pur sempre nel disincanto della realtà.
Andrea Zanzotto, in Conversazione
sottovoce,
notava come
molti di
coloro che scrivono si sentono anche un po’ giardinieri e botanici delle lingue,
apprezzandole quasi come fiori in un erbario (fiori di grammatica, di lessico
ecc.). Così il nostro
autore, venuto a contatto in Costa Rica con una cultura ed una lingua diverse,
ha iniziato a cogliere i fiori della poesia costaricana, venendo a tradurre
autori quali Eunice Odio e Juan Carlo Mestre, ancora non conosciuti in Italia, e
cercando di rimanere sempre fedele al loro pensiero e al loro dettato, senza mai
reinterpretarli.
La poetica di Pieragnolo si è
progressivamente arricchita, quindi, grazie alla contaminazione di mondi
culturali e sociali diversi, pur rimanendo sempre fedele a sé stessa e
all’incantamento, potremmo azzardare, del poeta per l’ambiente, per la forza
generatrice dell’amore e non ultimo per la figura femminile, intesa quale “Madre
terra”, capace di generare e proteggere la vita, ma soprattutto per la parola,
nella sua valenza rivelatrice e creativa.
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Recensione |
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