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Correnti contrarie
L’irresistibile densità dei
sensi
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Correnti contrarie (Equinozio d’Autunno), si apre con una
riproposizione di testi inclusi in A sensi congiunti, il primo libro di
poesia dell’autrice, edito nel 2012. Amore, silenzio, musica, erotismo soffuso,
passione, sono aspetti che ci colgono e ci sorprendono sfogliando l’inizio di
questa bellissima raccolta di Angela Greco e poi eccola ‘la parola’ che come
scriveva la Dickinson è vera non appena la si pronuncia e che qui, è ancora più
vera ed ‘esplosione di altre origini’ come ci ricorda l’autrice nell’atto del
senso dell’amore che benedice l’amore: l’affidarsi, l’affidare progetti
all’altro e accogliere tutte le domande da dentro. C’è qualcosa di spirituale
nelle poesie dell’autrice che ci parla dell’amore come di qualcosa che ha a che
vedere con il sacro, ovvero con la sua ‘sintesi’, amore come prodotto del sacro,
tutto il resto, tutto ciò che dal sacro non è illuminato e resta in ombra,
nascosto, che non è rivelazione, è profano.
Eppure, l’autrice ci ricorda anche che l’amore è tangibile, carnale, una
corrente che viene avvertita dalla pelle, ‘sentita’ nel conflitto, nelle
contrarietà, nel tragitto a mare e ‘basterà una goccia alla piena’,
che con i sensi e senza titolo, apre lo sguardo allo scorrere del
tempo-fiume, facendolo fermare nel senso e nella certezza del sogno, prima
ancora che in quella del passaggio.
Si giunge alla sezione de ‘La stagione di Clara’ (Solstizio d’Inverno),
versi dedicati a Flavio Almerighi, in cui l’autrice fa della donna
l’eterno femminino in attesa, la voce fuori campo che scrive sola sul
foglio bianco, che ha riserve nascoste, che dialoga con l’assenza e sente
che tutto può tornare a ‘essere giovane’, costante presenza. Per chi
attende, il tempo si amplifica a dismisura: il cielo diventa un angolo
meraviglioso e privato, oltre ogni colore o spettro, ‘non ci si abitua
mai a quell’interregno che ci chiama a essere’, e in quel tempo, niente va
perduto. Pure lo sguardo diventa ampio, i tempi sono rallentati e tutto sembra
essere un viaggio verso una direzione precisa, i passi si fanno leggeri tocchi
che vogliono sentire la consistenza delle cose, del buio, del respiro, e i modi
consueti di ascolto cambiano. Si ascolta il silenzio in altro modo, le pietre,
gli orizzonti, e si osserva, in altro modo, acutamente si invocano carezze e si
guarda, talvolta, ‘in bianco e in nero, proprio come restano le foto
invecchiate dal tempo’.
I punti di osservazione si modificano e le cose prendono una forma autonoma
più viva, diventano voci che raccontano memorie: c’è sempre una porta ‘che
collega i tempi’, semiaperta, da cui partono ‘fiori ed Eden’. Chi
attende, ha nel petto ‘una rosa’ e vive di più, verticalmente
pensiero e desiderio, si abita l’ora, in una ricerca continua della
presenza, delle luci nella stanza che scolpiscono gli oggetti e tutto, assume
una ragione di essere.
“Non c’è prosa nel mio futuro/ Il racconto ordinato non mi rappresenta/ I
dettagli, invece, quelli sì, sanno di me”: Angela Greco ci regala la
verticalità della vita e del linguaggio nobile, la poesia che è essere ed
essenza, un sentire e una realizzazione. Dando voce a Clara, ci fa
sentire sulla pelle l’attesa, come di un qualcosa che si modella, anche nelle
mani, tutto si ricolloca al giusto posto quando “venti minuti assomigliano
alla riva del mare” e le voci sentite si fanno liquide, non si trattiene
materialmente nulla, se non che un nome che salva, dentro quel cielo
tanto immaginato quanto più vero, perché pensato e pronunciato, una sorta di
campana di vetro da cui osservare il mondo, vederlo cambiare e rimanere
sempre gli stessi, incolumi e giovani. Poi ci può anche essere in agguato un
traditore, dietro alla porta, che attraverso i secoli cercherà di aprire, perché
c’è sempre, per chi attende, la condivisione del bene e del male, l’unica
consolazione è sentirsi essere mai lontani.
Nella sezione “Il nero bagnato è arte” (Equinozio di Primavera)
ci si appropria ancora di più del tempo, la stagione primaverile è
‘rapimento/presagio di primavera’, è quella in cui tutto risboccia, e pare che
le attese si sospendano “a tre passi con il desiderio di fiorire”, di guardare
con gli occhi della verità e di schiudersi all’altro che diventa ‘aurora sulle
proprie smagliature’: si fa nostro anche il tempo degli altri, quello lungo e
quello breve, immaginato e reale, c’è una ferita che sembra non rimarginarsi,
eppure non arriva mai a scindere l’unità del sentirsi diventare persone che
amano, anzi, ogni imperfezione ripristina la femminilità, che solo dopo
l’esperienza e con l’incontro, diventa necessario e rivelato ‘errore che
restituisce l’essere all’umano’.
“Non avrò altro sangue fuori di te” (Solstizio d’estate): è la
sezione vivace della vita, il momento perfetto della rinascita e della
maturazione, di cose, di sensazioni e desideri, di colori per cui “l’attesa
senza zucchero rimane rossofragola” e il respiro diventa azzurro quando si
pronuncia non solo più esclusivamente la parola, ma la vita stessa,la sola che
abbia la chiave per aprirci quando non ci saranno mai abbastanza petali ‘per
coprire fino alla dimenticanza il sole che ci scava’. In questa parte
poetica coesiste il richiamo esplicito ai frutti estivi, che rimandano a loro
volta alla sensualità, ai colori accesi del rosso fragola, la stagione delle
follie, dei frutti rubati, del ‘giardino della disobbedienza’ e del
sangue: le correnti si continueranno sempre a seguire, perché così va il
mondo, così i cicli della vita, così la direzione delle correnti, pur contrarie
che siano, e ciò che alla fine rimane e ci rende forza nell’esser leggeri e
taglienti, è la ‘capacità di essere fly’.
Adua Biagioli S.
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Recensione |
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