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I
graffi della luna
Le trame in volo esisteranno sempre
http://www.aduabiagioli.it/author/adua/
Nella raccolta poetica “I
graffi della luna”, Roberta
Degl’Innocenti, che ha sempre amato scrivere i sogni, mai la vita, come ella
stessa scrive “fra
carezze leggere e pareti cristalline”, si intercala nell’essere-cuore
della donna, ne cerca di carpire il segreto, il brivido, la leggerezza, il
mistero, il turbamento, che poi è quello di un tutto che mai finisce. La
poetessa chiede felicemente a un “Tu” di raccogliere “quel
vento uscito dalla porta femminile che vaga sulle ciglia” ovvero,
in una parola, la poesia profonda insita nell’anima femminile. E’ infatti lei,
la prima a constatarla, quell’anima sperimentata che è terra e guizzo,
sofferenza e sacrificio, in un rimando alle due donne per eccellenza e agli
antipodi: la primordiale (Eva) e la più santa (Maria).
Un libro che è
percorso-vita diviso in sezioni delle quali “Turchina”, ne
segna l’inizio: questa sezione è Tempo, movimento, mutazione, e il suo passare
è privilegio del graffio della natura, restano i desideri e i sogni mai smarriti “nel
cerchio delle rose”, per
chi resta “fata”
o “bimba”
con gli occhi della mente, e ci sono “chiaroscuri”
nel percorso, promesse, viole innocenti, destini: uno sguardo “d’acquario”
da cui traspare essere e promessa di una nascita e ri-nascita a destinazione.
I rumori si fanno
turchini, le stesse parole e l’alba lo sono e i desideri “liberi
aquiloni”, mentre i sogni che “non
si possono diluire” fanno dell’ora, la viola, quando arriva la luna e
il cielo si fa altro, accoglienza e brevità.
Il mondo dell’incanto,
del sogno e della magia è un mondo prediletto a chi desidera sognare e
desiderare, ecco allora “i
graffi della luna” prendere
corpo, diventare ‘incisioni’
sulla pelle e nell’essere, e non ci sono camuffamenti, non si torna indietro,
nonostante il passaggio avvenga di notte, nella trepidazione del pensiero,
nell’abbandonarsi al sonno, alle ombre, ai fantasmi, all’onirico e
all’inconscio, mentre i sogni diventano coralli da
portarsi dietro, quando torna il giorno.
La luna scandisce il
tempo, ciclicamente, in un alternarsi eterno e l’essere umano, non è
indifferente a questo, aquell ’’argento
vivo’, lunare, che ci rende partecipi del passaggio. Il mondo della
luna è graffio e visione: ogni cosa descritta acquista un accostamento
importante, un colore, sotto le influenze del corpo celeste, per cui il tuono si
fa ruvido, il palpito serpente, lo sbadiglio è di betulla, della sera, lo
sfinimento è pervinca.
Nonostante l’attimo
perduto delle rose sia il solo, a essere e morire nel tempo, occorre passare e
rendere colore ai passi: così celesti, non possono che essere gli stessi libri per
l’autrice, orme,
discrete anime, mezzi per respirare che offrono ragioni per sognare e per
pensare: i
libr i“fanno
fessure nella notte”, proprio in concomitanza con la luna,
illuminante al buio: entrambi, lasciano graffi al passaggio.
Nella sezione
seguente, “Ragazzi
e Sogni”, si riscopre quel candore per cui tutto diventa immagine
mentre il giardino dell’adolescenza si fa“città”:contiene
tutto, silenzio, gentilezza, vita, ricordi, ogni cosa resta perfettamente
intatta. Si incrementano in un crescendo musicale i fiori, la mentolina, i
gerani, i petali, gli arcobaleni e i gelsomini che vengono a individuare
candidamente il sostantivo, così che la parola acquista vita e colore
proprio: Venezia diventa ‘giuramento’,
le parole diventano un ‘sussulto
pervinca’, le ore colmano ‘la
pergamena’ e si profumano
di verde, le pagine hanno ancora il sapore di svelare il ‘mappamondo
dei segreti’ di quell’età,
così il sogno si fa ‘spiga
nella nebbia’ e la sera,
diventa abitabile ad ogni età.
Ecco allora che il
libro, così come il paesaggio, si fa rapimento, restano i momenti meravigliosi,
che ci commuovono ancora, la storia riacquista il sapore del vissuto, anche i
sassi del mare, sono ‘gementi’quella
storia, paiono personificarsi guardandoci e riconoscendoci nel viaggio e nel
tempo.
Quest’ultimo acquista
il significato di un ‘pegno
adolescente’ importante
per i ragazzi che si amano: c’è sempre il tempo per essere ‘principesse’
e rivivere musica e poesia, privilegio dei poeti. Con la poesia può rivedere la
vita e ‘se lo
specchio certifica la ruga’, il fiume della vita continua nello
scorrere, per farci riscoprire il tempo, direzione che ciascuno di noi vuole
intraprendere.
“Il sogno della neve”è la terza sezione del
libro, preceduta da un omaggio a Fabrizio De Andrè, ed è un continuo del flusso:
la sera ha una voce limpida e assume ogni possibile forma poetica: essa si
sveste, incanta, bisbiglia, balla, ci confonde, insinua, è stanca damigella e
profuma allontanando ‘le
trame’. Questa sezione è ‘un
Bianco Luce’ che tutti
sogniamo nell’inverno dei giorni della vita.
Il sogno sembra essere
qui, sempre più descritto in maniera originale, quasi si fa danza, neve, ‘fiore
di campo e ombra leggera’. Ogni ricordo e memoria, anche di luoghi
cari come Madonna di Campiglio, diventa ricamo bianco, in cui tutto appare ‘già
scritto’, come in una fiaba, che di neve dorme piano.
Si giunge così alla
sezione “Rosso Miele” che trae il titolo, come nelle altre sezioni, da una
poesia all’interno contenuta: il colore non perde la sua genuinità e candore,
seppur colorandosi di rosso nelle memorie per Firenze, negli stacchi delle danze
autunnali silenziose e d’arancio, in cui si arrendono le foglie giunte alla
caduta del percorso vitale, formando un tappeto strutto nei bellissimi richiami
di tramonti, e così avviene nella sezione “Viaggi
Indiscreti”, che ne
continua il sentiero meta-viaggio, in cui si evocano città come Genova ‘di
rughe e spasimo di colori’, sfacciata di purezza, dalla quale esce
una spiritualità creante quasi turbamento, nell’autrice stessa che se ne
appropria, nell’intuizione di uno ‘strappo
verticale’ inferto al tempo: esso diventa dunque motivo di respiro
ancora più ampio, in un crescendo musicale e ritmato, vertigine al cielo nella
sorpresa degli ‘anni
in corsa’, degli abbandoni, dei graffi nella consapevolezza, tanto
che l’autrice scrive: ‘mi
concupisce l’ora della resa a un tavolo tranquillo’ mentre
inquieto un cerchio denso risponde, giungendo all’epilogo dell’ultima sezione “La
casa dei mattoni rossi”: occorre fermarsi, anche se il mistero non ha
concluso il suo ciclo alto e nelle tasche restano ancora ‘spiccioli
di ore, un passo viola’mentre
il tempo, respirato, ci respira, e c’è sempre una trama da scoprire ‘ancora
in volo’.
Turchina
Era l’ora dei lupi e
delle trame,
le donne accese nei
falò di luna,
si stringevano i seni
fra le dita,
dritti i capezzoli al
fumo della notte.
Quando la musica del
flauto s’incatena
l’iride della luna si
fa rauca.
Luci turbate nella
notte insonne,
di canti e di sospiri
un sogno breve,
un sentiero di onde,
quasi un rito,
incantesimo strano,
labbra rosse.
Era l’ora del cielo e
dell’abisso,
turchine le parole
sulle mani.
Il rumore del nulla,
morsi e sguardi.
D’azzurro l’alba,
sorpresa della luce.
I graffi della luna
I graffi della luna si
confondono
in capricciose linee
sulla pelle.
Prigioniero il
respiro.
La luce fattucchiera
si riprende,
trepidazione breve,
senso strano.
Sui seni bianchi di
carezza attesa
la mappa dei pensieri
è desiderio,
spartito d’ore
fragili, un fiato di gazzella.
Invito lento
l’abbandono.
I graffi della luna
sono palpiti,
indugio della veste,
velluto nero
il tremito dei
fianchi, ricamo
vagabondo sopra il
grembo.
Come soffi leggeri si
muovono,
impazziti, i battiti
convulsi della notte,
perduta, senza linea
di confine.
Ombre chiare d’azzurro
i sogni.
Solo l’argento è filo
clandestino,
luce perversa, tremito
languore.
I graffi della luna si
confondono,
sono farfalle adulte,
la cantilena
dolce della neve, due
labbra rosse
invito della pelle.
Un sogno di coralli
sulle mani.
Labbra caprifoglio
La vita mi scorreva
sulle dita
con dolcezza furfante,
in aeree
nubi e guizzi
capovolti.
Soffia l’ora gentile
della quiete
senza rimpianti o
nebbie di tepore.
C’è una città in
giardino, un brivido di foglie.
Giallo oro il
silenzio.
S’inchina il fiume in
ombre trasparenti.
Perfida la luce. Iride
verde di mentolina
scaltra, impavida
all’autunno.
Solo i gerani hanno
petali di piume,
arcobaleni rossi di
languore.
Di pelle e sale il
sogno mio di brezza,
un palpito improvviso
di sirena,
un canto di furore
gelsomino.
Nel sogno breve,
dimora di candore,
mi destano le labbra
caprifoglio.
E siamo ancora noi,
ragazzi intatti.
Rossomiele
(Firenze in ottobre)
Indugia la città nel
suo respiro,
principessa di vicoli
e cortili.
La danza delle ore, il
passo breve,
le porte d’oro
brillano il tramonto.
C’è un fiume che
separa le due sponde,
un’aria di stupore
sulle ciglia.
Sui davanzali migrano
gli odori,
in sintonia di ponti,
quasi un gioco.
S.Niccolò si perde nei
presagi
di orme come nubi.
Sbadiglia il silenzio.
Piazza della
Repubblica è rito della sera,
le Giubbe Rosse un
sogno di parole.
Pensosa la città
dentro le mura.
Negli occhi il lampo
di una fuga,
un passo indietro,
quasi girotondo
di case torri in
doppiopetto grigio.
Un vascello di carta
vola il fiume,
rapimento leggero,
traccia e segno.
Di pelle e amore mi
prende la città,
compagna di respiri
vagabondi,
ansia di versi rapidi,
impazienti.
Tramonto Rossomiele
sulle dita.
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Recensione |
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