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Attratta dai versi, esco con il Poeta fuori dall’acqua,
vitale ma neutrale e m’offro, nel senso che seguo il canto, il canto di Angelo
Lippo, al liquido altro, quello rosso, portatore di fuoco. Portatore di aromi,
quando dolci e quando aspri. Lui l’autore, fa dell’ebbrezza un ponte, un viatico
per l’altro comunque, ma soprattutto per i contatti con il corpo femminile. E
infatti, quale migliore realizzarsi amoroso di quello che emana, dipende, dalla
dilatazione incontrollata di sensi e sentimenti, dall’esaltazione del bisogno di
incontro.
L’evento che consegue all’ebbrezza è di vera liberazione. Liberazione
nell’ordine della vita, un dono che discese per noi da sfere divine. Pagane
prima, cristiane poi. Nel vino sta la verità, dice il mio Poeta, ma la conquista
del vero ci costa un’avventura. Il rischio di perdersi, di deviare rispetto a
orientamenti consueti. Non accadrà, lui ci rassicura. Accadrà piuttosto che il
nostro cammino esca dal buio limitato, la galleria, ed entri nel sole.
L’attesa dell’uva matura, da cogliere, è anche viaggio,
magari distratto. Quando incontro l’acino colmo e pronto per la spremitura,
“m’inginocchio” e consumo una preghiera di ringraziamento. L’ebbrezza fuga la
solitudine e ci induce a prepararci per i brindisi, i momenti gioiosi. Dove la
gioia sta a significare, non evasione o comune rumore, ma “fragorose dolcezze”.
Abbandono alla vita nel godimento. Quello totale, che arriva quando ho fuso me
in me stesso.
Firenze,
gennaio 2010
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Recensione |
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