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Prefazione a
Anánkē
di Angela Greco

dati del
libro
Fabrizio Bregoli
Angela Greco sceglie di intitolare la sua nuova raccolta di poesie, con un
chiaro riferimento mitologico alla tradizione classica, a Ananke, ossia la forza
del destino, l’ineluttabilità del fato a cui l’uomo deve necessariamente
obbedire, o soggiacere. Questo potrebbe lasciar pensare che l’autrice,
rifacendosi a una scuola di pensiero dalla tradizione consolidata che attraversa
i secoli, aderisca a un’idea dell’uomo come di soggetto che è sottomesso a una
volontà imperscrutabile e superiore che gli impone le proprie scelte, lo relega
a un insieme di accadimenti predeterminati per i quali viene privato di ogni
potere decisionale. In realtà questa percezione di un destino che si impone e fa
valere le proprie ragioni sulla vita dei singoli, questa constatazione di uno
“spazio che va restringendosi” vanno circostanziate e riferite alla serie di
eventi a cui la raccolta si rivolge e ai quali, con intelligenza, Angela Greco
non fa mai cenno esplicito, ma li lascia intuire dalla inequivocabilità delle
date che circoscrivono questi versi a quell’anno 2020, a tutti ben noto. Evitare
il cronachismo, procedere per allusioni: questo dà consistenza al messaggio
poetico, evita di cadere nella retorica. Quindi Angela Greco ci propone una
poesia, che non si può ridurre a un diario in versi tout court, ma che è una
riflessione profonda e partecipe di una condizione storica che, certo, la
riguarda individualmente e che la porta a parlare di sé, ma nasce dal bisogno
dell’incontro, perché occorre “rendersi conto che una parte di sé stessi è /
l’Altro”. Fin dall’incipit dell’opera è chiara questa responsabilità di fondo
che porta l’autrice a una definizione della poesia come di “questa sostanza che
unisce / respiri e calci a gamba tesa”, agone aperto e problematico in cui
avviene la scrittura, in una consapevolezza a livello di poetica che è
essenziale per evitare di cadere nel tranello del già detto e dell’ovvio:
“bisogna tornare a scrivere con la penna tutto l’alfabeto”. Questa fiducia di
Angela Greco nella poesia, del resto, oltre che nella pratica di quest’arte in
prima persona, trova conferma da molti anni nel suo lavoro di divulgazione della
poesia grazie al suo blog “Il sasso nello stagno”, dove trovano accoglienza i
versi dei maestri classici e contemporanei: questa frequentazione assidua e
approfondita la porta a una poesia matura, consapevole dei suoi strumenti,
debitrice alla tradizione ma anche molto personale, con una fisionomia ben
riconoscibile.
A proposito della poesia di Angela Greco già scrivevo nella recensione al suo
ultimo “Arcani” (Achille e la Tartaruga, 2020) che siamo di fronte a “una
poesia-pensiero, di tipo esistenziale e, a tratti, argomentativa, che porta il
lettore per mano in un mondo intricato di domande non risposte, dubbi irrisolti,
indugi: l’esatto opposto di una poesia visionaria e dell’inconscio, allora, ma
una poesia […] della fattualità esistenziale, del dilemma fra vivere ed essere”,
affermazione che trova conferma e ulteriore sviluppo in questo nuovo lavoro. Qui
la parola di Angela Greco riduce ai minimi termini tutte le accensioni liriche
che non mancavano nel lavoro precedente, cerca una lingua più scarna e
sobriamente riflessiva, secondo un procedimento che bene è riassunto dai suoi
versi: “si procede / per sottrazioni, operazioni lontane / dai quaderni di
quando eravamo piccole mani”. Ecco gli elementi chiave della sua scrittura:
togliere il superfluo (“sottrazioni”), scavare nell’esperienza vissuta (“i
quaderni”), esplorare l’interiorità (“piccole mani”). Gli affetti restano una
componente importante della sua scrittura, come lo sono nella vita di ciascuno:
da questi non si può (e non si deve) prescindere soprattutto quando è forte la
consapevolezza del buio, quando “la notte è uno stomaco che / ricorda ogni
dettaglio”, immagine quest’ultima fra le più potenti e espressionistiche che si
trovano nel libro, capace di convogliare efficacemente il concetto di una realtà
che ci sovrasta e ci fagocita, proprio come è accaduto (e purtroppo continua ad
accadere). Ma ad Angela Greco importa andare oltre, attraversare soglie, evitare
il rischio che si sia ridotti a “attimo di pausa tra due baratri”, creare varchi
e connessioni.
Heidegger nella sua riflessione filosofica sostiene che l’uomo grazie
all’esperienza di sentimenti fortemente intensi e traumatici, come l’angoscia,
ma a ben vedere anche l’amore, acquisisce la consapevolezza piena del suo
limite, della sua nullità, e può con il tramite di essi realmente approcciare
l’Essere, in un processo di avvicinamento che proprio la poesia, per suo stesso
atto costitutivo, consente e realizza. Questi versi di Angela Greco si rifanno a
questa visione: sono dominati dalla continua oscillazione fra questi due estremi
che, di volta in volta, sbalzano dalle sue pagine, si confrontano, competono
dialetticamente; angoscia (e non semplice paura) e amore (quello autentico, non
solo per la persona amata, ma anche per tutta la propria cerchia d’affetti)
convivono e si confrontano in questi versi, nel percorso conoscitivo che procede
dalla “mise en abyme” sotto il giogo di ananke “ad altri noi (in divenire)”.
Questo permette l’incontro nelle poesie della Greco fra il dettaglio più
quotidiano e intimo (“la precisione di uno sformato di verdure / parla
dell’attenzione che altrove sfugge”; “ripenso allora al tuo petto, / di notte,
poggiato contro l’intermittenza degli eventi”) e la riflessione esistenziale
(“ricordiamo / l’acqua, soltanto per forma del recipiente che ci ospita”; “Oggi
che abitiamo nuovamente una terra sconosciuta. / Questa volta potremmo
riuscirci.”). Nascono così immagini plasticamente efficaci dove esprit de
finesse e esprit de geometrie si combinano con convinzione, aprono associazioni
insospettate, come per questi versi: “Scorrono pensieri nascosti, nuovi, forse
ritrovati / nei cassetti che scalano i corpi di Dalì, molli / orologi, che si
sciolgono in un cambio di cielo”, dove l’arte di Dalì si oggettiva, penetra la
realtà; altri, altrettanto interessanti e personali, saprà scoprirli il lettore
nel suo viaggio di pagina in pagina.
Concludendo, crediamo che si possa sostenere che questo nuovo lavoro di Angela
Greco risponde credibilmente alla missione di una poesia testimone del proprio
tempo, di una poesia della responsabilità che ci esorta a riscoprire la nostra
matrice originaria di uomini, a non ridurci a “maschere / ignare di volti e voci
di sopravvissuti”. Questa, da sola, è già un’ottima ragione per cui il libro
merita di essere letto.
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