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Poesia in difesa degli ultimi

Poesie per difendere il Tibet e gli ultimi del mondo, presentate, e non potrebbe essere diversamente, da don Pierluigi Di Piazza, instancabile divulgatore della cultura della pace insieme con il Centro di accoglienza «Balducci» di Zugliano.

È stato grazie all'incontro con il maestro tibetano Lobsang Phende, che, fuggito dal Tibet in India, vive da anni a Polava nelleValli del Natisone, che il Centro «Balducci» è riuscito a invitare in Friuli il Dalai Lama, in lotta serrata da anni contro il tentativo della Repubblica Cinese di cancellare la cultura e la religione del popolo tibetano. Non è solo una repressione culturale di imposizione della lingua cinese, ma anche un annientamento violento di una etnia attraverso il trasferimento coatto di popolazioni cinesi, la violenza della polizia contro i tibetani e i monaci, fino a giungere all'omicidio dei dissidenti.

Scrive Di Piazza che il Dalai Lama ha risposto all'invito proprio perché la richiesta veniva da una comunità buddista e da una cristiana, dedita all'accoglienza di richiedenti asilo e di rifugiati politici, che rappresentano la condizione di vita di migliaia di tibetani.

L'opposizione dei buddisti non è mai violenta; si avvale della disobbedienza civile, della preghiera e perché no anche della poesia. L'autrice della raccolta è Leda Palma, nativa di Pagnacco, ma trasferitasi a Roma dove opera nel mondo teatrale, radiofonico e televisivo. Opportunamente, data la destinazione cosmopolitica dei versi, Brenda Poster ha tradotto con cura i testi italiani in lingua inglese. Una scelta lungimirante, poiché la vendita del libro finanzia Amnesty international.

La prima parte della raccolta è costituita da Haiku tibetani, cioè brevi componimenti poetici, tipici della lirica giapponese e orientale in genere. Sono composti di soli tre versi costituiti da cinque, sette e cinque sillabe con cui esprimono stati d'animo o descrivono astratti paesaggi. Per la loro carica simbolica e i significati solo accennati e mai esplicitati del tutto, gli Haiku sono stati usati da molti poeti ermetici. Leggendo questi versetti vengono in mente gli ultimi paesaggi himalayani di Mario Micossi, dominati da vette e da occhi, non solo umani, ma anche apotropaici, usati per allontanare il male. L'immagine è ricorrente: «Due gocce gli occhi / oltre il bordo del dubbio / a segnalare» oppure «Sono i tuoi occhi / nel vasto di montagna / angeli soli» che «ostinati» continuano la resistenza e «... lo sfigurato mondo / scrollano via».

I versi evocano un mondo rarefatto, innevato, dove gli unici colori sono dati dalla luce e dall'ombra, simboli eterni del bene e del male. La neve con il suo luccicore fa da protagonista del paesaggio insieme alla luna, alle stelle, alle nubi che danzano sui «picchi capovolti sopra la morte».

Alto protagonista delle poesie è il silenzio della maestosità dei paesaggi montani tibetani. «Questo infinito / che silenzia parole / e mi rinnova» per contrasto moltiplica l'effetto dei suoni naturali, come quelli del vento di neve che muove le bandiere come «cavalli al vento», e di quelli dell'uomo ridotti a «rintocchi di campane», al fruscio delle ruote delle preghiere e alla ripetizione dell'Om in lontananza.

La seconda parte della raccolta “Fra gli dei sospesa” comprende poesie più lunghe e più legate alla dura realtà tibetana dove «Il braccio gira / l'ultima ruota / della sera. / Sanguina la preghiera / sulla sferza cinese».

In confronto alla crudele e sanguinosa repressione cinese, la poesia interiore di Leda Palma bene esprime il coraggio interiore della resistenza tibetana tanto che «Il tuo cielo Lhasa / ora ti vive dentro... la direzione / è sempre quella, / nel più profondo». La serenità raggiunta con un lungo percorso non facile, di liberazione dal dolore non dimentica quello di un intero popolo, ma lo trasforma in immagini preziose paragonabili a quelle dei salmi: «Oscillavano i monaci / in preghiera / come fiori di campo / spinti dal vento».

Se l'arte «è, un gesto di perdono», queste poesie indicano la forza interiore del Buddha, che indica sempre una speranza al «nostro andare» mentre «Aggrappati ai mónasteri / come alpinisti / i tibetani vivono / la rassegnazione / il dolore addomesticato».

Recensione
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