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Amare serve: già il titolo è emblematico della vocazione all’amore della poesia, della sua missione universale di celebrare la bellezza: “La bellezza salverà il mondo”, dichiarava Dostoevski. Come spiega l’autrice nella nota, l’amore è il sale della vita, l’ordito del tessuto sociale che infittisce i rapporti: “Un memore sentimento di gratitudine che addomestica, crea un’aspettativa, proprio come accade per la rosa del Piccolo Principe, un obbligo dolce che lega, rendendo caro l’altro o l’altro oggetto, riservandogli cure e premure, in una rete di connessioni complesse ma essenziali, che finisce per diventare irrinunciabile. Le relazioni stringono fittamente quel tessuto prezioso che permette di sopportare il peso di vivere e di proteggere e di accrescere il Bene.” Lo spirito del servizio è ciò che alimenta il contagio del bene e dà senso all’esistere per: “Servire a qualcuno, a qualcosa, è l’ambizione più grande per ciascuno che si trovi da questa parte del Creato ed è questo servizio la vera missione dell’esistere. La si assolve amando, in tutte le sfaccettature di questo sentire, proprio dei viventi.” Questo profondo messaggio è declinato in versi nelle poesie che seguono, in un tono aulico e in una melodia suadente: “Amore | è la metodica luce | che fiorisce i giorni | transeunte e pura, | avvenente e avvenuta melodia | di questa servitù di passaggio; | amore permea | la consuetudine fedele della guardia | che osserva e cura | in radianza di salvezza. | L’amore serve | deliberato e porto come frutto | e accoglie | in trasparente di grazia provvidente.” (Soventissime I). L’amore è ciò che sorregge l’umano vivere, il motore immobile attorno a cui ruota l’universo: “Amare serve | in rigoglio schietto di servigi corrisposti | di vassallaggi e vincoli; | sovente è sorreggere | o intelligere altro fiore | cortese beneficio che non chiede prezzo, | ausilio in ciò che occorre.” (Soventissime II). Vi è una poesia delicata dei sentimenti e degli affetti, della condizione aurorale di genuinità della natura umana: “Fino a quanto sole | profumato e denso | gronderanno luce | gli occhi accesi? | Al suo tramonto pensa | colui che è nato, | rosa innesto al ceppo | di sangue e luce | dell’umanità. | Pollone beato | del primo tempo dilatato | gemma d’illusione fanciulla | e ramo spoglio di stanchezza | quando il sole scalzo dell’inverno | coglie lacrime di gelo.” (Sguardi). La morte alligna nell’inanità e nel nonsense del vivere: “Si muore uguali | di inabilità | in tempo d’usura, fra chiuso dire, | malcerto pensare, di malato mal essere grigio. | L’altezza del volo confina | col muro di un silenzio pari alla resa | e l’invisibile vince | atterra il sogno della luce e chiude gli occhi | di rinuncia, stanco di febbre.” A volte, come una livida marea, assale il dubbio dell’essere e ci si chiede perché si vive: “Ridimmi perché vivo | perché passo ancora di qui | che l’infinito accosta | il muro levato” (Quesito); “Il raggio triste di una stella | gela il coraggio | di ammarrare il flutto | che porti questa vita a riva. | Gondola nera, | il molo manca | per colpo di marea.” (Silentissime). Una segreta sofferenza alimenta come un fiume carsico le sorgenti dell’essere, scavando nelle viscere della terra e tra le pieghe dell’anima: “Tutte le iridi del mondo versano pianto | alle mani aride della sofferenza. | - Provvederà la notte al sogno? - | È fioritura che svampa questa libata vita | che dall’avvento insegue senza pausa le partenze, | gemme sfinite per incessanti scelte somme | forze vigili e viridi | che innamorano narcise di vittoria | ma alternano cadute a risalite, | digiuni a fortune di raccolto | legittimando, talora, all’imo, | la spina d’essere.” (Nuance).

La speranza si proietta in un altrove, in una trascendenza cilestre: “La trave che sostiene il velo | alla speranza | non solleva respiro all’anima | senza il blu di quel mare | in lontananza.” (Esche). È necessario ascoltare il richiamo divino sotteso al silenzio: “Se non nutri | di voci attese | di richiami trascesi | il tempo tace | e non accade | (…) non scende l’abisso il sole.” (Muro). Si vorrebbe penetrare il mistero, ma questo resta inaccessibile, circonfuso di sacralità: “Si vogliono le chiavi | d’ogni sosta in arco al cielo.” (Rampe). È un viaggio che affonda le radici nel passato, incrociando i volti che lo costellano, mentre è già tutto proteso verso il futuro: “E rimpiangendo i cari amati | attraversati | a nuovo approdo va | l’incontro rastremato da giorni eguali | per le ore ancora inedite che ancora tento | per esserti fedele | indimenticata promessa, chiave di volta, | a tutto quanto ho, sono, do.” (Dote). Raffinato è questo gioco di allitterazioni: “E tendo a voi, avi, con ave e gloria | rifratta eva che ritratta e piega | disarmonie e inettitudini come disfatte.”

Un intenso lirismo si effonde in questi versi: “Oh le perle dei giorni andati | i delfini azzurri dell’anima mia | al quieto errare delle nubi | (…) quali steli in fragranze | che danze rubìne” (Refolate); “Ai minimi flauti della luce | risveglierà la valle delle inettitudini.” (Meditatio); “Paiono i giorni chiari in volo verso il mattino, | lungo velo che sempre sposa bianco | sotto lo sguardo umido della felicità.” (Trapassando); “e il suo strascico di sangue | che s’impiglia | cola tracce amarantine | entro il cielo che rovina cilestrino | nell’avanzo vespertino. | (…) l’impudico trasfiorire | di un rovescio libero di stelle | adamantino.” (Occaso).

L’anima si schiude alla trasparenza dell’Eternità: “Si apre l’anima | a una sopravvivenza acuta, | virginale appartenenza. | Questo cercare in trasparenza | attraverso sguardi che s’incrociano | sincronica mente nel quadro | inebria di uno stare dolce e augusto.” (Uno stare dolce).

Si chiude l’avventura poetica con ciò che è il coronamento di ogni bene, il vertice supremo dell’Essere, Colui che è ineffabile e indefinibile: “La vita muta di travaglio oscuro | per questo se non trovo, altri vedranno. | Ora capisco che il mondo seguiterà | d’illacerato senno. | (…) raggio che illumina | l’eterna notte del sogno | nel mondo certo delle idee: | che l’io è nel noi perché Tu, | voce di sapienza esatta, sei negli amori, | quel te che in me si è perso | sapore di quel che so di me | l’identità che vede della Tua luce. | Siamo strali scoccati | dal sole di una stessa scelta | che qui offusca | per la nebbia dell’oblìo calata | sugli anni della ragione | dai contorni sfocati | di un sé transeunte e solo.” (Nello stesso manto).
Recensione
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