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Among Water, Angels and Wind
Questi versi, con la traduzione in inglese a fronte, sono improntati ad un
raffinato estetismo, in una celebrazione dei sensi e voluttà della bellezza:
“Potremmo andare a vedere / la neve / appoggiati su soli / mai visti / o
toccarti il fiato / in lontane veglie, / sotto viola passaggi / acque parche di
/ volontà / e assurdi scarti di / gioia.”. Gli elementi della natura sono
pretesti a questo gioco dell’anima per il poeta: “Le avvisaglie del vento /
rombano le pianure / in campanili di ocra / fulgente. / Abbacinare le pietre /
del sole / è lavoro facile / per il poeta, /scavare il gioco / dei ricordi /
lavora il senso / di perdute falsità.”; “Raggiunge l’alba / la mano setata /
fronde di vene stagliate / tra i tocchi / dove suono e gioco / accompagnano
fiori di / sambuchi smarriti / tornano le sere / di bronzo / o dorate nei
tramonti / sotto le montagne.” L’erotismo è il fattore scatenante di tale
eccitazione della sensibilità, là dove la figura muliebre viene idealizzata e
sublimata alla stregua di un angelo: “Ange cerca / le mie mani / nelle notti
costellate / dai fantasmi / del metasogno, / forme di colline / nella neve / del
furore / o della dolcezza.”; “L’uomo che cerca Dio / non ha paura / vita habet
sensum / vorrò cercherò di toccare / la luce del tuo corpo / scesi i passi / del
bosco / i miei sensi / sulla tua bocca / nello spazio alto / del respiro / sopra
le mura.” (Preghiera).
La morte è estremo limite, rastremazione di un processo di scarnificazione
dell’apparato esistenziale che tende all’essenziale: “Dobbiamo salire la morte /
per capire / non importa il viaggio / prima che l’albero / cada / in forre di
luce. / Saliremo le pietre bagnate / dell’acqua / di un oceano / solo, / rivisto
o arrangiato / alla fine / del viaggio.”
L’anelito religioso, nella sezione dedicata a don Lorenzo Milani, il prete noto
per la sua ostinata passione per l’educazione all’intelligenza (“Continui nel
tuo / andare, / non lasci il sudore /della cultura, e nemmeno quando provano / a
chiedertelo), è interrogazione muta e grido straziato al contempo: “Le macchine
/ lasciate sotto, / non possono ardire / di vederti / e neppure di parlare / per
stagioni diverse, / lasciate vivere / nella libertà / di mani o di passi. /
Sempre più tardi / arriva il messaggero / di primavere di sole, / quasi non
fosse più importante, / oppure bisogna / girarsi davanti / a quel crocefisso /
di legno / senza dare nell’occhio; / forse, alla fine, / griderai anche / Tu.” È
amara consapevolezza che trafigge la noncuranza dell’ignoranza: “Che cosa ne sai
/ del nostro andare / quando scende la bora / del ricordo / o la voglia / di
soli prossimi / al volto / degli Dei. / Avere un Dio / che ti predilige / è cosa
vana / nel cerchio dei giorni. / Rouge kai blue / intanto vive il melo /
vive la sua vita / in imperi di sensi violati / dal caldo accordo / dell’ombra.
/ Attorno ai tuoi occhi / sale la preghiera / dello schianto, / il vortice
elettrico / delle cellule affascina / e abborda / vene di sangue smarrito.” È la
terra stessa, avida di certezza feconda, a reclamare una risposta: “Forse sarà
la tua terra / ora a chiedere / il senso / del grano / o il verde / del vino /
sui colli / de sole, / dopo le piogge. / Negli azzurri silenzi / cieli di nuvole
/ e le verità sciolte / in brillanti colline / di senso. / In penombre / e fumi
di Dio. / Tempus loquendi, / tempus tacendi. / Ego accipio umbram Dei.”
Il Paese di nebbie e di acque è un’apparizione inquietante, che
scava nel rovello dei pensieri tortuosi e svelle l’essere alle radici: “Tormento
è il tuo / apparire, / tra selve di capelli / i giorni nebbiosi / per distese /
di voci. / Lasciarti nel profondo / su stanze di cielo / è la mia / volontà, /
accasciato nel solco / di paure e / parvenze.”
A chiudere il poema di Giorgio Bolla è un interrogativo, metafora di una
perplessità cosmica irriducibile a fronte del mistero imperscrutabile che ci
governa: “Cosa accade nei / pomeriggi allora, / quando il nuovo / caldo /
assicura il sudore / di camicie bagnate / mentre la gabbia / dei sensi / si
siede sotto / quell’albero, / oramai famoso e / scontroso. / Avrò il senso? / O
cercherò il silenzio / della pelle, / passato il giorno / e appena prima / della
fine?”
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Recensione |
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