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Andar per versi
Questi versi di Patrizia Riscica sono permeati di intenso pathos, nel
coraggio di una donna che ama sino alla dedizione silenziosa, nella sincerità
dei suoi sentimenti: “e l’amore guardò il tempo e rise…” / disse
Pirandello / o forse qualcun altro. / Era il tempo di andare / e lo diceva forte
/ quella voce ormai finita / stridula e aspra, / senza rispetto / o pietà per
orecchie / troppo stanche. / Era il tempo di cambiare / e cacciare via l’amore /
era arrivata l’ora, / ma lui, l’amore, non voleva / proprio andare via. /
Restava lì, fermo, / impassibile, / con il sorriso triste, / gli occhi
sfuggenti, dolenti, / persi in / un’angoscia di abbandono / tesi in / un
desiderio di dolcezza. / La voce tacque / e si trasformò in lacrime / e le
lacrime in carezze / e il tempo rinunciò. / L’amore rimase /perché sapeva che, /
nonostante i suoi stracci / i suoi buchi, gli strappi e / i pochi rammendi, /
copriva ancora il corpo / e scaldava l’anima.” La sua è un’intelligenza
raffinata e una libertà fiera: “Così se un giorno qualcuno ti chiederà: / ma
che fine ha fatto quella? / sì quella con i capelli scuri / gli occhi un
po’ tristi e / quel sorriso di luna che / solo per un attimo illuminava la
notte? / tu la rinnegherai.” (Quella); “evaporo come goccia di mare /
i pensieri compromessi dall’altro / non mi appartengono più.” (Pensieri).
L’amore è illusione e disillusione insieme, quando all’incanto e all’estasi
seguono il disinganno e l’angoscia dell’assenza: “Finalmente mi ami! / Sì, sono
sicura che mi ami! / Era scritto ieri dentro i tuoi occhi, / mentre mi osservavi
di nascosto, / sai, / ho visto / come brillavano / lucidi di tenerezza. / Poi
hanno parlato le tue mani / che percorrevano con desiderio / il mio corpo che si
scioglieva in te. / E la tua voce incantata / sussurrava felicità sulla mia
pelle. / Svanita dal presente ho calpestato / campi azzurri / come se il mondo
fosse solo / cielo e mare. / Ho danzato sulla spiaggia / sfinita dalla gioia. /
Ho gridato al vento e / cantato in coro con le onde. / Ma adesso? / Cosa ne
faccio di questo amore, adesso? / Se non posso più tormentarmi / e soffrite
nella notte di desiderio? / Se non posso gemere di gelosia, / sognare la tua
voce che respira sul mio collo? / Come posso nutrire il mio corpo / e bere
avidamente le mie lacrime / senza la tua assenza? / e la mia mente, /
improvvisamente deserta / dall’ossessione di te, impazzirà? / Allontanati, ti
prego / non rispondere più al mio richiamo.” (Finalmente). È una
schiavitù da cui è difficile liberarsi: “L’amore fa un altro giro / questa volta
lunghissimo, / sembra essersi perso / per quel viottolo scosceso. / Poi
all’improvviso si volta, / torna indietro e / comincia a risalire. / Non c’è
nulla da fare / ritorna sempre, ancora, / qui appiccicato a me, / camuffato da
finto addio.” (Giro). Nella sua ambiguità è una trappola mortale, una
morsa fatale che ti avviluppa con i suoi tentacoli: “Mai capirai perché / non
riesci a fermare / quelle carezze che / ti compromettono la vita / e perché
continui ossessiva / a percorrere i malintesi dell’amore.” (Carezze).
La
malinconia amorosa si nutre di ricordi e di delicate rêveries: “Era un
tempo / non ricordo quale, / ma sicuramente molto giovane per noi. / Ti
aspettavo in cima / a quella scala a chiocciola / su cui tu salivi lentamente /
e io guardavo ogni tuo passo, / come se, senza questo sguardo, / tu potessi
perdere equilibrio e cadere. / Il pensiero, una ripetizione: / sta venendo da
me, proprio da me / Ecco ora in un tempo / non più giovane per noi / ancora ti
vedo così / mentre sali verso di me, / i tuoi capelli ondeggiano / e il volto si
alza in / un sorriso improvviso.” (Scala). La passione è un gorgo
travolgente e irresistibile, una ricerca inquieta, affannosa e mai paga:
“Cercherò sempre / un tuo sorriso / per poi inseguirne un altro / e un altro
ancora. / Spierò con passione / ogni paesaggio del tuo corpo / ascolterò
sorpresa / ogni tuo nuovo suono. / Raccoglierò ogni tua lacrima, / la mescolerò
alle mie, / dentro l’ampolla dell’anima / e le conserverò gelosa. / Sarà una mia
conquista / ogni piccolo cambiamento / e il tuo odore nuovo / sarà consolazione
/ speranza, significato. / Voglio imparare questo amore/ arrivato improvviso, /
irruente, sfrontato e prepotente. / Voglio imparare questo amore / che,
incurante della mia fragilità, / ha invaso tutto lo spazio del mio cuore / e ha
inghiottito avidamente / l’avanzo d’una manciata di anni. / Ma quanta paura, /
bimbo mio, / di vederti tremare per la vita, / perché il mondo può trasformarsi
in un orco orribile, / quanto timore / di non aver un tempo / per raccontarti
una fiaba fantastica / e poi una storia vera / dolce e un po’ triste, / perché
tu possa credere, / sognare ancora e fiducioso / respirare libero nel viaggio. /
Sempre determinato nell’andare.” (My baby).
Nella sezione L’andare delle donne la forza viscerale femminile emerge in
tutto il suo vigore e potente attrazione: “Lei è passata di qui / e con un lungo
sguardo / ha avvolto il tempo / la parola è stata povera / breve, scarna / solo
un accenno al viaggio / le lunghe mani accarezzavano / pelli secche e stanche /
mai hanno avuto sosta / poi la voce si è alzata chiara / sopra quella del vento
e del mare / e non ha mai perso purezza / il suo ricordo è rimasto qui / per
sempre intrecciato / a un filamento di unità.” La psicologia femminile è legata
alle proprie scelte dettate spesso dall’amore e dal sacrificio che questo
comporta: “Una ricerca che sfinisce / dicono un destino forse / che ti irride e
/ dopo tutto / questo cercare di capire / perché fai così, / sempre così, /
arriva improvvisa la chiarezza / donna, ora sai / cosa dover cambiare, / e
proprio in quel momento / capisci che non puoi / e non potrai mai. / Ora sai /
che continuerai per sempre / a vivere così / dentro a un inganno consapevole.” (Cambiare).
La poetessa ha una funzione sciamanica, vale a dire di consultare gli spiriti e
sentenziare oracoli, gettando luce sulla verità, con proprietà taumaturgiche di
curare la vita nella sua continuità, nonostante gli strappi dolorosi: “Mi
chiamano Sciamana, / donna che viaggia con gli spiriti, / ho il potere
dell’estasi, / ho il potere sulla pura essenza, / conosco l’altra realtà
dell’anima. / Il mio destino è andare, / sono esule del mondo / ho una mappa
scritta nel cuore / per camminare verso il regno dell’ignoto, / nella terra di
mezzo, nella terra di sotto. / A chi incontro per la mia strada / cucio le
ferite più profonde / che tagliano a pezzi il cuore, / guarisco ogni scompiglio
della mente / e quell’impulso irrefrenabile a perdersi la vita. / Cerco tra gli
alberi, le piante e i fiori, / i medicamenti più dolci / per lenire il bruciore
/ che rode e consuma ogni anima. / Mi consulto con gli animali / per trovare
energia e saggezza. / Il mio tamburo batte il ritmo, / un suono lento come le
ore del buio. / Io esco da me ed entro nella notte, / lunga quanto la strada che
gira / attorno al destino. / Se hai perso il cammino, / resta stretto a me / gli
spiriti bisbiglieranno all’orecchio / conoscenza e turbamenti / soffieranno la
magia dell’antico essere / e – così – forse – potrai – finalmente – riposare.” (Sciamana).
La donna è custode paziente del dolore dell’uomo: “Raccoglierò il tuo dolore /
così impenetrabile e greve. / Certo, lo custodirò. / Lo porterò con me. /
Camminerò con lui a lungo. / Passo dopo passo / e se cadrà sfinito, / lo
raccatterò dalla strada: / ho ancora molto spazio / dentro al mio zaino rosa.” (Zaino
rosa). A lei appartiene per natura l’arte della cura: “Avrò cura, lo sai, /
sono una donna. / Sono qui, anche se non ci sono / ma non temere, / parto e
ritorno / scappo e inseguo / osservo e giro lo sguardo / accarezzo e mi
allontano / parlo e afferro il silenzio / ma ti porto con me, / leggero è il
pensiero / avrò cura, lo sai / in ogni tempo.” (Cura).
Il rapporto Madre-Figlia è conflittuale, ma al contempo costruttivo e
fondante della propria personalità: “Non capivo come volessi / che io fossi: /
un’amazzone impavida, / sempre pronta a combattere? / una donna modesta e
obbediente? / una lavoratrice capace e indipendente? / una figlia affettuosa?
una madre efficiente? / una femminista irriducibile? / Nel tempo mi hai offerto
tutte le facce. / Io osservavo e imparavo / a essere educata, gentile,
combattiva, caparbia, / rivoluzionaria, generosa, egoista, conservatrice. / Che
fatica trovare un’identità / e quanti pianti, lotte, contrasti, per svincolarmi
e poter / finalmente fuggire verso me stessa. / Era una battaglia aperta,
riguardava solo noi due. / (…) Ho alimentato la tua ansia di perdermi. / Io
invece ero sempre al sicuro, / coperta dal tuo amore. / Mi sono crogiolata nella
colpa / di essere diversa, non adatta, malfatta, / irraggiungibile nel mio
cocciuto tacere.”
Patrizia Riscica in Andar per versi segue il flusso dei sentimenti e
delle emozioni, quando sostano irrequieti lungo le anse del cuore o se
s’impennano in slanci indomiti dell’essere: il suo timbro inconfondibile è
costituito da un’energia vitale e una spumeggiante ebbrezza dei sensi, sostenute
da una meditazione lucida e vigorosa che ne incarna una visceralità tutta
femminile, terragna, la quale affonda le radici nell’incandescente magma
sotterraneo, ma eleva le potenze intellettive e sensitive fino al cielo.
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