Servizi
Contatti

Eventi


Come gioco dell’anima

Un intenso lirismo pervade i testi di Maria Antonia Maso, rendendo la lettura gradevole e appassionata. Possiamo riassaporare con lei, in questo modo, i momenti più idilliaci delle stagioni dell’esistenza, che si susseguono costellati di lieti eventi, così come quelli più dolorosi, rielaborati dalla catarsi poetica. Allora, è la contemplazione assorta del paesaggio che incanta e seduce col suo fascino ameno e selvaggio: “Inquieta stagione rincorsa da nubi, / smarrita e incredula al fugace sole. / C’era un pesco fiorito.” (Primavera); “Batte incessante il mare / scogli sonori / e la notte immensa / ha radici d’ombra e spande / fiori di stelle.”; “Veli di nubi smorzano / l’azzurra intensità del cielo. / Come sogni ondeggiano / cupole verdi al vento leggero.”

La luminosa bellezza della creazione si rifrange nelle molteplici sfaccettature con cui il Sommo Artista l’ha modellata, ciò che la poetessa coglie con lo stupore estatico del “fanciullino” pascoliano: “Il sole balza / in mille raggi d’oro.” (Mattino); “Stanno immoti e silenti / mare e cielo / contro la pallida terrazza intorno / all’ultimo lembo di terra / ove cerchiamo / contro l’ansia del vivere / sogni.” (Terrazza Mascagni); “Nel cielo senza sole / sugli alti steli / boccheggiano le rose.” Ora sono delicate rêveries della stagione d’oro dell’infanzia nel suggestivo scenario del fiume Brenta cui è dedicata la Premessa (“Brenta, tu muori in mare e rinasci, / ma la mia giovinezza / muore per sempre nella vita”): “Tendono in cielo mani di ragazzi / iridescenti arcobaleni d’acqua / e con minute gocce di cristallo / inseguono selvagge il nostro riso. / Una corsa affannosa sui sassi levigati, / un rapido sfiorarsi in fuga e cadere / sui tratti di sabbia timidi, lontani.”; “Argini del fiume / che correvo / in campo bianco-azzurro / a strappi. / Tra sterpi e sassi / scrosciava la speranza / trafitta di grida / e il Grappa stava saldo / in lontananza / come un grande ideale.” (Brenta). La nostalgia della propria terra viene decantata in un’incantevole sublimazione elegiaca: “Campi sereni / e monti azzurri / chiare acque / dove affiora e schiuma / il brusio dei ricordi. / Vivere nei gelsi / volare coi rondoni / ero stagioni / e vento / negli occhi sassi bianchi.” ; “Voglio un cielo di stelle / per dormire / e una zolla odorosa / sulle rive del Brenta; / un morso di buona terra / e che mi cantino i grilli / nelle orecchie.” (Per dormire). Ugualmente, vengono celebrate le persone mitiche che hanno abitato la fanciullezza, quali il padre, la madre, la nonna: “Madre se penso che tu m’hai amato / come adesso io amo i figli miei, / madre le lunghe faticose cure / e gli abbracci improvvisi / e l’impeto del cuore / consuetudine e gesti.” (Madre). Inoltre, si esaltano i riti di esuberante vitalità della tradizione contadina nello scenario trionfale della natura: “Archi di vite / sospesi tra i gelsi, / cicale impazzite. / Sollievo di strade / nell’ombra dei platani vasti / e fiotti di luce sui campi. / Nel cielo trionfano / altissimi cirri, / vagano anelli / di polvere bianca./ Furori improvvisi / di vento e tempesta, / nel grano maturo / papaveri in festa. / Epopea di raccolti, / si spiegano i canti.” (Estate contadina).

Anche il sentimento d’amore che dà il titolo alla seconda sezione è vissuto con la stessa ebbrezza di stupefazione che rende tutto straordinario e meraviglioso, proprio come un incantesimo (per citare la poesia seguente): “Noi siamo insieme nella luce d’oro, / avvolti nel silenzio, incamminati / lungo una strada bianca, senza fine. / (…) Come filo sottile / l’anima si tende.” È un sussulto, un palpito, un battito d’ali sul cuore la trepidazione con cui si attende l’incontro con l’amato: “Compari all’improvviso, / volto incerto nel vetro, / e il cuore si scompone. / Invano / mi sforzo di pensare / che senza ragione / andasti / e di te non so niente / e senza ragione / ritorni.” Mentre l’assenza è un’angoscia profonda: “ASSENZA / Al tuo sole negato / il mondo discolora. / ASSENZA. / Neppure una fontana / nel raggio della sete.” (Assenza). La vicissitudine amorosa s’intesse in una dialettica combattuta tra prossimità e distanza, tra comunione e conflittualità: “Con chi spartirò il volo del pensiero / e il miele profumato della vita / se nell’affanno di schemi eguali tu / resti serrato e tutto ciò che varia / insicuro rifiuti?”; “Con fatti e con parole / mille volte t’ho detto / di pensare a noi due, / ma tu sei Atlante e reggi / con fatica il mondo. / Dell’ordine hai fatto una bandiera. / Io, illusa, tentavo / gli accordi dell’anima, / cercavo spazi / di tenerezza.” L’amore si gioca tra ansia di assimilazione dell’altro, ma, al tempo stesso, difesa della propria libertà: “Grande è la pena, amico, / per te, cieco d’angoscia, / che mi vuoi ammaestrare, / per me che voglio andare / dove il respiro è largo, più profondo / e si spiegano i cieli / come tovaglie chiare, / dove l’anima è vela / al vento del destino / e insegue il gran disegno / sempre in fuga avanti.” Esso trasfigura tutto, come un miraggio ardente che balugini nel deserto: “C’erano paradisi nei tuoi occhi, / nella voce cantavano sirene / o forse / io vedevo e sentivo / le mie belle illusioni.” Tuttavia, è superando l’idealizzazione che s’incarna il vero amore nel “tragico quotidiano” (secondo l’espressiva definizione di Papini), ed è in questo pur precario equilibrio che si pongono le fondamenta per la solidità del sodalizio nuziale: “Mi credeva sua madre: / soltanto sacrificio e devozione. / Lo credevo un eroe / che mi desse ogni giorno un’emozione. / Siamo molto più uniti /da quando litighiamo. / Impariamo ad amarci / come siamo.” (Matrimonio).

L’amore è fecondo e, con la generazione, si proietta nell’eternità: “Figli: / sconfino / nell’eternità.” Le creature neonate sono insidiate dalla morte già al primo albore, ma pure sono corteggiate dalla vita, nella sua chiassosa festa di risa chiare e sonori pianti: “Se nasce un figlio / la morte furtiva / si aggira intorno / con qualche speranza. / Lei / si è presa / il mio primo bambino. / Ma gli altri / squillante tripudio / piedini manine / già salda la presa / forzarono il tiepido ventre / alla luce affamati. / Poi tutta una corsa / di giorni di notti / altra vita altro mondo / concerto infinito / di risa di pianti.” Ogni figlio è una poesia con un suo tratto distintivo: “Figlia mia, piccolina, / tonda come una melina, / tutta riso tutta pianto, / tutta da “tirare su”. / Figlio mio dal cuor gentile, / tutto impeto, esplosioni, / cavallino biondo azzurro / da imbrigliare con le buone. / Figlia mia già grandicella / tutta introversa e spinosa / come una bella rosa, / da far sorridere un po’ di più.” (Cantilena).

Il bimbo non nato resta un lutto irrisolto, la morte così innaturale per una creatura appena sbocciata alla vita: “Pensai per altri / “non dovrebbero gli angeli / giocare sulla terra, / ma per te fu esaudita la preghiera. / Non ci furono giochi e ninne nanne, / conoscesti subito il mistero. / Vuota nel cuore dondola la culla, / figlio sconosciuto.” L’amore, quale flusso luminoso di sovrana armonia in un essere docile ad accoglierlo, ti pervade e ti avvolge in ogni dove: “Quando l’inno del sangue / richiama tempeste / e in uno sguardo il cuore / si perde alla deriva: / ogni incontro è creazione. / Quando germoglia l’intrigo della carne / e la vita esplode / in echeggianti risa, / capricci mutevoli. / (…) Quando veglia il tepore / del dovere compiuto / e si spegne la luce. / È AMORE.”

Il sentimento del divino è custodito dal pudore e dalla sacralità del silenzio: “Al brusio / Tu rispondi / Infinito Silenzio.” È un mistero sublime che appena si ardisce sfiorare: “Tu passi nel silenzio / e rivolgi le stelle, / di fatica ci nutri e sofferenza. / (…) Come farò a risponderti, o Signore? / Dovrò inventare strade / e gesti / perché ancora / Tu venga a trovarmi.”

L’ispirazione creativa a volte assale come un vulcano in eruzione; altrimenti, invece, è spenta cenere dove, in profondità, covano lapilli e lava incandescente: “Urgono parole / come geyser dell’anima / e silenzi indicibili. / Talvolta ci umilia l’impotenza.”

Questa raccolta assurge, dunque, ad un inno alla vita pienamente vissuta nella sua dialettica altalenante di gioie e dolori, nella favola bella che specchia nelle primizie dell’amore sponsale, delle gemme preziose dei suoi figli, come nel dramma dei lutti, della perdita delle persone care. Essa appare, nonostante le contrarietà, felice “gioco dell’anima”, poiché, da questa prospettiva dello splendore divino che la trasfigura, sorvola ogni miseria, per cui “tutto è grazia”, come affermava S. Paolo, e diventa canto di benedizione e di rendimento di lode a Dio, come è suggellato nel suggestivo finale. È una poesia, allora, quella di Antonia Maso, profondamente religiosa, in grado di saper toccare le corde più profonde dell’anima e di far vibrare una melodia sublime che tesse l’armonia celeste che l’avvolge: l’autrice ha scoperto il segreto di un’esistenza autentica, che è quello di avere il suo fondamento sul valore supremo e assoluto che è l’infinita tenerezza di Dio che circonda tutte le creature e a cui va restituito con gratitudine ogni bene. Epilogo è la sintesi della “vicissitudine sospesa”, per dirla con Luzi, della scrittrice, così come dei contenuti poetici di questo libro: “Lasciare / la Brenta sonora / la bionda infanzia / con tutte le magie / (biciclettina azzurra / azzurro il bambolotto) / la mia seconda età / consapevole e ricca / messi d’oro / il fasto dei ricordi / il girotondo mai stanco / di parole. / Lasciarti / compagno scabro / amore nero azzurro / della vita / Lasciarvi figli / occhi cerulei risa / le caparbie tenzoni / il ragionare / rampante sfida. / Devo correre / i campi dell’anima / e conoscere Dio / per dirgli grazie.”

Recensione
Literary © 1997-2024 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza