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Esistenza
Questa silloge in endecasillabi è “una parola forte”, “densa come il marmo”,
come scrive Mario Selvaggio. È una protesta contro il sistema politico,
economico e sociale incancrenito nella corruzione e nell’ingiustizia, declamata
con accenti “petrosi”, danteschi. Ci si sente quasi soffocati dalla compattezza
dei versi che denunciano il male assoluto come un monito alla generazione
corrente: “ed è l’affarismo legge globale / pur se d’umanitarismo s’adorna /
quell’associazionismo ad infinitum / Più grave danno incombente non altro
/ dalle millenarie civiltà fuoco / omologazione ovunque stravince / ogni società
livella il profitto / liquidità ormai antico credo / al capolinea ben saldo
giunto / ha senza ostacoli attraversato / l’ultimo tratto con evviva in coro /
liquido non è il male macigno. / O infelici svuotati di specie / al cambio
epocale v’affrettate / scioccamente sol l’esterno cogliete, / gioventù ancor ha
riso e pianto / ma vale il rap se dona profitto.”
Una Babele è la città
costruita dagli uomini, fondata sull’arroganza e la superbia, ove dominano
confusione e inquinamento fisico e morale: “ma la Torre è là nella gran piana /
opera gli uomini erigon alta / alacremente all’unico pensiero / massimo anelito
l’onnipotenza / ed il Signore discese lor lingua / confuse ancor diversità
prevalse / dell’essere molteplice bellezza / or nuovamente la Torre s’innalza /
construere in unicum progresso / in latitudine mattoni tanti / in
longitudine nel mondo sfatto / stravolta biosfera e l’esistenza / benessere
apparente con prigione / tutto stravolge la competizione / or la soglia supera
del buon senso. / Confusione a tutela dell’essere / volle il Signore così del
pensiero / salvò della diversità bellezza.”
Lo stile è improntato ad aulica raffinatezza, quale ricettacolo di somma cultura
che si erge a giudizio della dilagante ignoranza: “Beltà di luce a dolcezza
d’ombra / volgesi, al Pantocratore il grazie / di libertà nell’attimo da cure /
affanni e dolori sodali da sempre / nel pietroso andar che giammai ci lascia, /
arduo il cammino all’anima bella / amare bisogna anche il dolore. / Dono
all’umano esistere prezioso / cogliere sgombri da spine d’oltraggi / d’ogni
pensiero svuotare la mente / pervenir all’incontro del profondo / sull’error del
cogito meditando.”
Infine, il canto si fa implorazione accorata, come un urlo strozzato ad invocare
il soccorso divino: “Salvaci! Ciascun da se stesso salva / Paradiso è la Terra
col Divino / che dal Malefico libera sempre / salvaci, Jesus, non riusciam da
soli / anelito nostro vince il mal seme / salvaci Tu, o prodigioso Sangue, /
pace imploriam ad ogni gradino / PACE / E PACE / E ANCORA PACE!”
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Recensione |
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