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I dolci inganni
I dolci
inganni
sono
iridescenti miraggi che baluginano nello sterminato deserto dei giorni ad
alimentare la linfa vitale dell’essere. Sono esili illusioni che indorano
l’esistenza e le infondono un barlume di senso: “Imprigionai con ragnatele di
note | nuvole pazze | – grovigli di piume – | che rincorrevano il vento | e
fermai il mondo.” (Bianca farfalla). Come scintille accendono il lampo
dell’impeto divino della contemplazione: “Nell’ora serena | mi specchierò
| nel
catino del tuo limpido cielo.” (Solo per i tuoi occhi). L’intensità delle
emozioni ridesta dal letargo l’anima che si affaccia trepidante al balcone della
vita, a lasciarsi accarezzare dal lievito di luce che fermenta nell’aria, nella
danza della Primavera: “Poi, all’improvviso | apro l’uscio della vita e
| annuso
l’aria | sa di buono. | Sa di primavera! | Esco dal bozzolo | asciugo nel sole
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le mie ali. | Nasce la voglia del primo volo | E… vado oltre.” (Primavera).
Sono pretesti apparentemente insignificanti che, tuttavia, riverberano in se
stessi l’infinito, come rivela una presenza domestica così rassicurante, eppure
misteriosa come una sfinge, qual è il proprio gatto: “Come una sfinge s’acquatta
| sguardo fisso | simile ad antico idolo | che rinchiude nel suo nulla | il
segreto della vita.” (Mistero).
Vi sono
rêveries improntate ad un delicato lirismo: “Voglio rubare un sorriso
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da questi occhi chiari come | un campo a maggese | che guardano vaghi | in un
mondo che non distinguo.” (Dolore); “Nell’ora quieta | e nella penombra
rotta | da vaghe trine, | che adornano pareti | – come danzatrici | dalle
sinuose movenze – | salgono nell’aria note | d’un vecchio valzer.” (Ombre).
È una sensibilità del fanciullino di pascoliana memoria che si meraviglia
per le piccole cose e le impreziosisce con la rarefatta arte del poetare: “Addio
giorni fanciulli, | timidi intrecci di fiori | e fili d’erba | nel dolce far
niente, | solo risa | bocche vermiglie | e cartocci di ciliegie | rimangono. | E
la memoria dilata | nel lento smarrire del tempo.” (I bei giorni). È una
fatica paziente di tessere la spola tra la terra e il cielo, per riannodare il
legame dell’effimero con l’eterno, per cui “il riordinare | mille fili colorati
| attimi del nostro vissuto | ci dà una quinta stagione | in questo mondo di
rovine.” (I dolci inganni).
Nell’amore s’insegue l’anelito mai pago di assoluto: “Averti vorrei
| nel
cerchio infinito | e con te perdermi | chiudendo l’ultimo | lume del mattino.” (Dammi
la mano). Ciò a cui si aspira è come una dolce chimera “creata da un nulla
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nato dal sogno, raggio nuovo | pulviscolo | di vecchia primavera” (Sogno
infranto), una melodia che sottentra al respiro cosmico, inanellata tra gli
spazi siderali trafitti da scie di stelle cadenti e tra gli equinozi mutevoli
che solcano il cielo della propria interiorità: “E noi del miserere | grandi
compositori | dilatiamo l’attimo | alla vibrazione di un diapason | e creiamo
nel primo giorno | una nuova avventura.” (Dissolvenze).
Improntata alla tenerezza elegiaca è la poesia degli affetti, come nella
rievocazione struggente della figura materna: “Torno ad accucciarmi fra le
braccia | della poltrona che cullò | i giorni dolenti di una donna | chiusa nel
suo mondo, | già madre mia. | Cerco l’odore amato | nelle pieghe del tempo
patrigno. | Essenza sbiadita. | Nel perdermi nel dolore mai sopito | sciolgo le
mura che rinserrano | la mia anima. | Tornano con le morte stagioni | i nostri
giochi costruiti dal nulla | e, il rimpianto di aver disperso | al tempo degli
aquiloni nel vento | un discorso mai finito.” (Al tempo degli aquiloni).
Questi
componimenti di Elisa Sala hanno il pregio di un tocco lieve e genuino di
fresche emozioni che si depositano come primizie di luce all’aurora: “Nel primo
mattino | un occhio di sole | trafigge in mille frammenti | i cristalli del
nostro sogno. | Il respiro dell’alba | ha scacciato i fantasmi della notte.
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Attendiamo, nel tepore | delle nebbie del risveglio, | d’entrare nel primo
giorno | che sa d’erba nuova.” (Noi).
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Recensione |
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