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I graffi della luna

I graffi della luna sono uno sguardo della sensibilità femminile, complici le segrete malìe della luna e le chimere notturne: “Nel giorno che confonde i chiaroscuri | la luce si fa breve, il passo incerto. | Danza di ombre liquide, furtive. | Fantasmi della notte si ritirano | in geometrie di grigio, umide al sonno.” (Chiaroscuri). L’autrice annota le emozioni, le sensazioni e le impressioni che scivolano sulla sua pelle, quando si tende “l’agguato della luna. | Volo guerriero a sbigottire il cielo” (Desideri): “Nel cuore di ogni donna c’è un segreto | un brivido leggero, un sogno strano, | qualcosa che si perde in turbamenti, | in ansie piccoline di canzoni. | Tu cerca di raccogliere il segnale, | l’ombra rossa che freme, | la porta dell’attesa, il piacere | che vaga sulle ciglia, il ricamo | del verso sulla pelle. | Noi donne siamo esseri di vento, | di terra bruna al guizzo della serpe, | fronde di un’onda incerta sulla danza, | farfalle stanche sui colori accesi.” (Ogni donna). Ci si sente come una primadonna che si avventura nell’arena dei desideri: “Le principesse hanno l’animo un po’ | inquieto, il riso sulle labbra e ciglia umide. | il vento nei capelli, un brivido negli occhi. | Il verso che conduce la poesia.” (Principessa). I graffi della luna sono brividi che accarezzano il silenzio della notte, che accendono i sensi, di cui ne freme voluttuosamente l’essere: “I graffi della luna sono palpiti, | indugio della veste, velluto nero | il tremito dei fianchi, ricamo | vagabondo sopra il grembo. | Come soffi leggeri si muovono, | impazziti, i battiti convulsi della notte, | perduta, senza linea di confine. | Ombre chiare d’azzurro i sogni. | Solo l’argento è filo clandestino, | luce perversa, tremito languore.” (I graffi della luna).

La stessa ispirazione artistica è avvolta da un alone di mistero, come un oracolo di Sibilla: “I libri sono fogli del respiro, | intrecciano le storie vagabonde, | stupiscono le lacrime e la carta | sono orme di pianto o di canzoni. | Sullo sgabello attendo la corrente, | la penna fattucchiera freme inchiostro, | non cede mai al riposo del guerriero, | cattura fiordalisi o polvere di stelle. | (…) I libri sono anime discrete, | perfidi anfratti, fessure della notte. | Orme celesti dove muove il cielo.” (Fogli del respiro). Pure il segno zodiacale del mese in cui si è nati sembra esercitare influssi maliosi: “Nel mese mio d’acquario le pareti | sono onde maliziose, un capriccioso volo. | Febbraio è isola di luce, su rami | nudi, incatenati al cielo. | (…) Ti canto una canzone libertina, | lo zaffiro dei giorni, la dimora dei sogni, | una ballata bianca di carezze.” (Capriccioso volo).

Venezia è la città per eccellenza immersa in un magico incanto, nell’irresistibile seduzione di questa regina assisa sulle acque: “Venezia bianco candido il mattino, | due mani che s’intrecciano furtive. | (…) Le vie sono canali iridescenti, | pensosi quanto basta a custodire | trame segrete, corse a perdifiato | su grate d’occhi languidi, pensosi. | (…) Venezia, dondolìo della sirena, | che muove piano la sua danza estrema, | il gioco delle mani, il passo breve, | respiro perso in dedali d’occhi. | Cantilena leggera sotto i ponti, | l’acqua si svela morbida d’attese.” (Giuramento). Soltanto Parigi può competere con la suggestione della sua bellezza: “L’aria densa di aromi si colora, | il gioco del battello vibra lento, | dal Ponte Nuovo migrano le rose | di petali sorriso rosso sangue.” (Pegno adolescente). Tuttavia, anche Genova, altra città di mare, ha il suo fascino travolgente, che Fabrizio d’André, cui l’autrice reca omaggio in una poesia a lui dedicata (Faber for ever), ha cantato con tanta sagacia e ammirazione: “Genova bella, assorta nel carugio, | drito spiraglio, fessura vagabonda. | (…) Città di rughe e spasmo di colore | di passi antichi e trame cortigiane. | (…) C’è una città di piazze e di sospiri, | fiore luce del porto, innamorata strana | di canti e di bestemmie non importa. | (…) C’è una città regina, sfacciata di purezza. | Canto di porto, preghiera sulle dita.” (Fiore luce del porto).

È anche l’incantesimo ovattato della neve, ove tutto sembra sospeso, in un’atmosfera rarefatta di trasognata poesia: “Il Bianco Luce è nuvola di sguardo, | le foglie si riposano muovendo | nervature, un gemito rotondo sulle ciglia. | La neve sogna e quando sogna sbuffa, | si gira e si rigira nella danza, i piedi | che si posano un palmo dalla terra, | l’esercito degli Elfi in tregua pellegrina, | sono passati un’ora o cent’anni.” (Il sogno della neve). Lo spettacolo della natura desta estatico stupore: “Mi appare d’improvviso arcobaleno, | sospesa meraviglia sopra il cielo. | Volta celeste, abbraccio di colori | di Verde Viola in candido sapore.” (Meraviglia).

La luna è la vera protagonista, che tesse intrighi e seduce col suo pallore diafano: “La luna è privilegio dei poeti, | s’indigna inquieta, meretrice strana, | languida cortigiana delle note, | principessa di versi e di canzoni.” (La rotta delle stelle). Ad essa, “bella signora dalla veste bianca | dall’animo di sfinge e di sirena”, viene fatto omaggio nella Ballata della luna: “La luna dei poeti è vagabonda, | tappa le orecchie ai versi, alle canzoni, | sogghigna delle lacrime disperse, | s’indigna degli improperi improvvisi. | (…) La luna dei poeti è una briccona, | promette spesso e non mantiene mai.”

Prendono forma suggestive rêveries in un soffuso lirismo: “Ricama l’erba un gemito di brina, | dicembre punge, languido, il mattino. | D’azzurro limpidissima la veste | muove sui fianchi un morbido bagliore | in gioco luce sopra la campagna. | (…) si levano, però, pizzi d’argento | in danza di libellula, leggera. Si prendono | e si lasciano di guizzi trasparenti. | La luce è un fiato chiaro che sorprende.” (Limpidissima la veste); “C’è una trama di volo, turchese, | sveglia iridi intatte, lampi di seta | ammiccano il silenzio.” (La casa dei mattoni rossi).

La poesia conclusiva, Scrivevo sempre i sogni, svela l’incantesimo che l’autrice, come una fattucchiera, ha tessuto dalla trama dei versi fino a irretire la sua vita stessa: “Scrivevo sempre i sogni, mai la vita, | in carezze leggere, pareti cristalline. | Le foglie mi parlavano indulgenti | di lunghi viaggi, nervature strane. | Il fiume era il mio sale, il mio segreto, | d’incontri rari, sintonie remote. | Una donna aquilone che vola | e si confonde tra fili colorati, | tetti e gnomi. L’Elfo guerriero era | il sangue, il mio respiro di passi colorati, | ingenuità del rosso.”
Recensione
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